Recensione Io ti salverò (1945)

Il giudizio severo di Truffaut su questo film ne dimentica l'importanza di nella carriera del maestro. E' a partire da questo film, non certo un capolavoro, che prenderà forma il modello di donna algida, protagonista fissa dei film della maturità.

Hitch, psicanalisi, ragione e follia

"Alla notizia di un film di Hitchcock che affronta la psicanalisi ci si aspetta qualcosa di completamente folle, di delirante e invece è uno dei film più ragionevoli, con molti dialoghi. Mi sembra proprio che Io ti salverò manchi un po' di fantasia."
Questo è il giudizio molto severo espresso da François Truffaut, condiviso da molti critici e persino da Sir Alfred Hitchcock stesso. Si tratta tuttavia di giudizi ingenerosi che dimenticano che Io ti salverò costituisce una tappa necessaria all'interno della filmografia hitchcockiana. È infatti il primo film del regista ad affrontare direttamente il tema della psicanalisi, la prima collaborazione con Ingrid Bergman, una delle attrici hitchcockiane per eccellenza ed infine, il primo contributo di Ben Hecht per la sceneggiatura.
Inoltre, da non dimenticare è indubbiamente l'apporto artistico di Salvador Dalì che ha ideato le scenografie per l'incubo del personaggio interpretato da Gregory Peck. Hitchcock ha voluto rompere nettamente con il modo tradizionale in cui il cinema presentava i sogni, con la nebbia che confonde i contorni delle immagini e lo schermo che trema. Come dichiarò successivamente la scelta di Dalì fu determinata dal segno netto e affilato della sua architettura, le ombre lunghe, le distanze che sembrano infinite, le linee che convergono nella prospettiva, i volti senza forma ecc.

In sintesi, per tutte queste ragioni Io ti salverò rappresenta un momento importante nella carriera del regista, forse non come punto d'arrivo bensì come pellicola di passaggio, di preparazione alla realizzazione di un capolavoro indiscusso del maestro, ovvero Notorius, l'amante perduta. In questo senso, Io ti salverò offrirà la possibilità al regista di consolidare l'intesa con alcuni collaboratori (Hecht e la stessa Bergman) che risulteranno fondamentali all'interno del percorso cinematografico di Hitchcock.
Come se non bastasse, la pellicola, con la sua attenta analisi della psicologia femminile, sarà alla base di un lavoro lento e lungo che porterà il regista alla messa a punto dell'archetipo della donna algida, e apparentemente frigida, che sarà protagonista fissa dei film della maturità.

Costanza Peterson, il personaggio interpretato da Ingrid Bergman in Io ti salverò è, in effetti, proprio quello di una donna fredda ed austera, tanto rigida e precisa nel lavoro, la psicologia, quanto inetta ed insensibile nei rapporti umani, soprattutto nell'amore. Il film inizia con una seduta psicanalitica in cui Costanza ascolta i racconti di una donna che, come lei, non ha mai conosciuto l'amore ma che odia gli uomini a tal punto da sentire il bisogno di aggredirli ogni qual volta le si avvicinano. Si tratta, com'è evidente, di un parallelismo tra le due donne, tra il medico e la paziente; lo spettatore viene in tal modo avvertito, in apertura di film e prima ancora di conoscere la protagonista, dei rischi che Costanza corre e del pericolo insito nell'eccessiva freddezza.
Il riferimento a questi pericoli sarà esplicito ed evidente solo nel dialogo immediatamente successivo tra Costanza e un suo collega psicologo, il dott. Fleurot che, riferendosi alla paziente appena uscita, dirà: "Che vuoi capire di un caso come quello senza un po' di esperienza in amore?". Ma è soprattutto la risposta della protagonista a far capire allo spettatore la sua totale inesperienza in amore: «Ma se non ho fatto altro che dedicarmi allo studio di problemi del genere?».
Ciò che emerge è che, per lei, l'amore ma anche la vita in generale non sono altro che studio, analisi psicologica. Non a caso, più avanti, sempre il dott. Fleurot le ribadirà: "Ho osservato il tuo lavoro: è brillante ma senza vita... manca d'emozione, ecco... alle volte dai l'impressione di essere fatta di ghiaccio... abbracciare te è come abbracciare un libro di testo".
Tuttavia, ancor più che queste battute, a far capire la sua impreparazione in amore, sarà la sua stessa reazione di fronte alla prima inattesa sensazione d'amore; Costanza perde all'improvviso e irrimediabilmente la razionalità, il rigido controllo e la fredda lucidità che sino a quel punto l'avevano dominata per lasciar posto ad una fragile quanto inaspettata emotività (la metafora visiva scelta da Hitchcock è l'apertura in successione di una serie di porte).

Il rapporto che si istaura tra Costanza e John (Gregory Peck) può esser considerato uno tra i tipici rapporti uomo-donna della filmografia hitchcockiana, peraltro già presente in Giovane e innocente; la donna è colei che ha il compito di lottare per salvare il suo uomo ed è l'unica a crederlo innocente. In questo caso, però, il tema dell'innocenza si intreccia indissolubilmente con quello, decisamente meno tipico dell'amnesia; il legame tra i due protagonisti si rivela, nella sua limpida semplicità, attraverso una frase pronunciata da Costanza: "Voglio rimanerti vicina e curarti fino a quando non sarai guarito".
Il finale del film, contrassegnato da un rapido montaggio molto efficace è, anch'esso, tra i più tipici. Inizialmente sarà l'uomo, guarito grazie alla donna, a ricambiare il favore salvandole la vita (come già in Giovane e innocente); poi, sarà nuovamente la donna a dover dimostrare la sua incondizionata fede nell'uomo e nella sua innocenza (come pure in Rebecca, la prima moglie).