Hell on Wheels: La Frontiera della AMC

Dopo aver rivisitato il filone horror dei morti viventi nella fortunatissima The Walking Dead, la rete via cavo si dedica al genere classico per eccellenza del cinema americano: il western. Lo fa con un serial ottimamente scritto, che mescola abilmente le influenze delle diverse declinazioni assunte dal genere nella sua storia.

Dopo l'horror, il western. Un successo come quello di The Walking Dead, basato sul recupero e sull'adattamento a modi (e tempi) narrativi del piccolo schermo di un sottogenere come lo zombie movie, non poteva non spingere i responsabili della AMC a compiere un'operazione analoga per un altro genere classico. Un genere che anzi è più "classico" di quanto mai sia stato e di quanto mai potrà essere quello orrorifico, almeno per una cinematografia, come quella statunitense, che praticamente dalla sua nascita l'ha usato per rappresentare, e celebrare, la storia stessa del suo paese. Hell on Wheels, commissionata dalla rete via cavo ai fratelli Tony Gayton e Joe Gayton (autori di alcune sceneggiature cinematografiche, tra cui quella del recente Faster) nasce quindi con i crismi e il marchio della classicità, e con il preciso intento di riportare l'epopea del vecchio West sul piccolo schermo con toni più realistici, e un respiro più ampio, di quanto sia stato finora fatto dai prodotti televisivi che si sono cimentati col genere.
Il setting della serie è storicamente preciso e accurato: siamo nel 1865, la Guerra di Secessione è appena terminata e la schiavitù, retaggio di un passato barbaro, è stata eliminata. Il paese sta vivendo il culmine della sua tumultuosa espansione verso l'Ovest, favorito dalla costruzione della sua rete ferroviaria, che insieme all'invenzione del telegrafo ne cambierà per sempre la fisionomia, dando ai suoi cittadini la sensazione di una libertà quasi illimitata. Ma c'è un lato oscuro dietro al grande sogno americano che sta lentamente prendendo forma: quello di una perdurante discriminazione verso i neri, della sistematica predazione delle terre dei Nativi Americani, delle violenze dei vincitori del Nord verso i Confederati. Proprio uno di questi ultimi, l'ex militare Cullen Bohannon, sta cercando vendetta per l'uccisione di sua moglie ad opera di soldati unionisti. Eliminati alcuni degli assassini, Bohannon si mette sulle tracce di quelli rimasti facendosi assumere dalla Union Pacific, impegnata nella costruzione dell'imponente linea ferroviaria che metterà in comunicazione gli stati orientali del paese con gli inesplorati territori dell'Ovest. Nell'"inferno su rotaie" che accompagna i lavori, ovvero l'insieme itinerante di saloon, case da gioco e di tolleranza che segue la costruzione della tratta, Bohannon incontra il nero Elam, l'imprenditore senza scrupoli Thomas Durant, il suo viscido assistente detto semplicemente Lo Svedese, insieme a una pletora di altri personaggi: ma la strada per la vendetta si rivelerà lunga e intricata.

Tony Gayton, all'inizio della sua carriera, è stato assistente di produzione per John Milius, e il contatto col maestro ha evidentemente lasciato dei segni sul suo modo di scrivere. La rappresentazione del West offerta da questa serie ha molto di epico, ma poco di idilliaco o edulcorato: ciò che vediamo sul teleschermo, sulle rotaie del "cavallo di acciaio" destinato a cambiare per sempre il volto degli Stati Uniti, sono sangue, sudore, lacrime e morte. La Frontiera di Hell on Wheels è un luogo in cui avventurieri senza scrupoli si mescolano a sognatori idealisti, prostitute a giocatori incalliti e immigrati in cerca di fortuna, pistoleri dal grilletto facile a predicatori itineranti. A dominare tutto, il senso di un'impresa mastodontica, che tra coloro che sono chiamati a realizzarla si traduce però in sofferenza, brutalità, discriminazione e sopraffazione del più debole: il soggetto demistifica e demolisce la credenza secondo cui la vittoria unionista avrebbe portato alla civiltà e alla fine delle discriminazioni, mostrando che una liberazione dalla schiavitù solo formale, come impara amaramente l'operaio Elam, non si traduce in condizioni di vita migliori. Un tema che si incrocia con quello dello sfruttamento da parte degli industriali del nord di manodopera (anche di colore) a bassissimo costo, mostrando in modo chiaro gli interessi economici che mossero, in assenza di vere motivazioni ideali, vincitori e vinti, rappresentati entrambi senza facili manicheismi. Il motivo della discriminazione e della sopraffazione del diverso attraversa l'intera serie, facendosene elemento portante e focalizzandosi tanto sugli afroamericani quanto sugli indiani: anche qui, il soggetto dribbla abilmente le contrapposizioni manichee e le mistificazioni che hanno informato di sé, in periodi diversi e con modalità speculari, la cinematografia hollywoodiana.
I Nativi Americani visti in questa serie, lontani dalle semplificazioni che li hanno voluti di volta in volta barbari sanguinari o eroi senza macchia, sono semplicemente un popolo che conduce una resistenza disperata: gli stessi guerrieri che tendono un imboscata massacrando brutalmente un gruppo di operai della ferrovia, sono quelli che poi accettano di trattare con i responsabili del governo e dell'azienda ferroviaria, esponendo ragioni che, nella loro semplicità, risultano difficili da contestare. La stessa scelta fatta dal giovane Joseph, indigeno che abbandona la sua famiglia e il suo popolo per abbracciare la civiltà del Nuovo Mondo (e la sua religione) è presentata in modo neutro, con i suoi elementi di problematicità e conflitto (anche interiore) in piena evidenza. Lo stesso apparente villain della serie (l'industriale Thomas Durant, personaggio realmente esistito e ottimamente interpretato dall'attore irlandese Colm Meaney) si rivela presto come un carattere complesso, avido e mosso da insaziabili interessi personali, ma con alle spalle una storia difficile, un'indole combattuta e un "sacro fuoco" all'interno, quello del cambiamento e della realizzazione di una grande opera; lo stesso che ha mosso, per ragioni diverse, il suo collaboratore Robert Bell, progettista ucciso dagli indiani e autore di alcune importanti mappe del territorio in mano a sua moglie Lily, sul cui ritrovamento si basano in gran parte i primi episodi.
Su tutto, il personaggio del pistolero Bohannon, a cui dà il volto un efficace Anson Mount (apparso, tra le altre cose, nel recente Cani di paglia, remake del classico di Sam Peckinpah): un protagonista dal volto duro e dallo sguardo impenetrabile, per larga parte della serie volutamente inespressivo, che ha poco degli eroi del western classico e tradisce invece la sua parentela con i personaggi dello spaghetti western degli anni '60; avvicinandosi, nella fisionomia e nell'attitudine, più al Franco Nero di Django che al Clint Eastwood dei classici di Sergio Leone. E uno dei punti di forza della serie si rivela proprio questa interessante opera di recupero di un genere nelle sue diverse declinazioni, che unisce l'immortale, e nonostante tutto persistente mito della Frontiera dei classici di John Ford, con l'attenzione alle sfaccettature dei personaggi che fu di Howard Hawks, alla violenza grafica e al cinismo che furono introdotti dalla versione italiana del genere; insieme a un'apprezzabile accuratezza nella ricostruzione storica e d'ambiente, grazie anche a un ottimo lavoro sulle scenografie che avvicina la serie a un vero e proprio period drama. Un cenno va fatto anche al resto del cast, dal rapper Common (che interpreta l'operaio di colore Elam, protagonista di un tormentato rapporto di amicizia con Bohannon) alla Dominique McElligott che dà il volto all'intelligente e combattuta Lily Bell, fino al canadese Christopher Heyerdahl, nei panni del viscido e inquietante personaggio dello Svedese. Volti poco noti al grande pubblico, tanto cinematografico quanto televisivo, ma funzionali ai personaggi e a un'identificazione, da parte dello spettatore, già garantita dall'ottima qualità della scrittura della serie.