Hatfields & McCoys: il regista Kevin Reynolds parla della miniserie

Intervista al regista Kevin Reynolds, che racconta la sua esperienza nella serialità con il pluripremiato western Hatfields & McCoys, in onda dal 15 gennaio su Rete 4.

History regala soddisfazioni agli estimatori delle serie. Il canale di Vikings (già opzionata per l'Italia) ha sfornato, un paio di primavere fa, il western d'autore Hatfields & McCoys, ennesima collaborazione (vedi Fandango, Robin Hood Principe dei ladri o Waterworld) tra il regista Kevin Reynolds e Kevin Costner (ma nel cast brillano anche Bill Paxton, Tom Berenger e Powers Boothe).
In prima assoluta su Rete 4 dal 15 gennaio, in prima serata, la miniserie in tre puntate sviscera la sanguinosa faida di confine tra due famiglie che si sono scontrate cruentemente per quasi tre decenni - dal 1865 al 1891: gli Hatfield residenti in West Virginia e i McCoys, del Kentucky. Una pace divenuta impossibile quando l'amicizia tra Devil Anse Hatfield e Randall McCoy si trasforma in astio, in seguito alla morte violenta di un membro delle due dinastie: l'insofferenza si trasforma in desiderio di vendetta e rivalsa, gli sgarbi diventano sempre più pesanti, il numero di vittime da entrambe le parti si fa sempre più spaventoso. La faida finirà per coinvolgere amici e vicini, compresi i giovani innamorati appartenenti alle due fazioni rivali. La miniserie è valsa un SAG, un Golden Globe e un Emmy a Costner come protagonista, e un Emmy a Berenger come personaggio secondario. Si meritava una pioggia di riconoscimenti anche Reynolds, che abbiamo incontrato al 53o Festival della Televisione di Monte-Carlo.

Di cosa parla Hatfield &McCoys?

È la storia di due famiglie i cui membri si odiano visceralmente. La loro rivalità coinvolge intere generazioni e va avanti per tre decenni, influenzando le vite di dozzine di personaggi. E questi personaggi sono il motore di tutto: Hatfield & McCoys porta in scena figure realmente esistite, dai destini formidabili. La storia violenta e cruenta di questa lunga faida è così interessante perché la serie ha dei personaggi forti, complessi, sfaccettati.

I fatti narrati in Hatfield & McCoys, quanto si discostano dalla realtà?

Gli eventi sono i medesimi, qualcosa è stato saltato e alcune vicende sono state rese in tempi più brevi, ma nel complesso siamo stati fedeli. Abbiamo curato molto i dialoghi e il modo di parlare dell'epoca, il che conferisce ancor più realismo.

Com'è arrivato al progetto?
 Hatfield & McCoys si basa su una storia vera, che mi ha appassionato fin da subito. E poi era un western, cosa c'è di più affascinante? La ricezione, infatti, è stata molto positiva, il pubblico ha adorato la miniserie e sicuramente anche l'accurata promozione che il canale History gli ha riservato negli Stati Uniti ha contribuito al suo successo.

Eppure il western non è un genere che permette di giocare sul sicuro.

È vero, la sua fortuna va e viene, ma c'erano precedenti di serie western e la possibilità di convincere un'emittente a produrla mi sembrava realistica, bisognava solo sperava di azzeccare un momento in cui il genere tirasse. Ci è andata bene, perché quando il western è nella fase meno popolare sembra impossibile farlo tornare in auge. Ovviamente, dopo che è andata bene a noi, in molti hanno pensato di sfruttarne il revival: quello che conta è fare soldi, e se una cosa tira è bene investirci subito.


Com'è passare da cinema a televisione?

Oggi la piattaforma televisiva offre più libertà a livello creativo rispetto a quella cinematografica, e questa è sola una delle tante cose che sono cambiate negli ultimi anni per quanto riguarda l'entertainment. Basta dare un'occhiata al cinema di oggi per rendersi conto che è dominato dai blockbuster con gli eroi dei fumetti, non c'è spazio per chi, come me, vuole raccontare una storia drammatica. 


In cosa differisce la regia televisiva da quella cinematografica?

Il problema, per chi come me è un regista che viene dal cinema, è rendersi conto e accettare che non è tutto in mano al regista, anzi, per quanto riguarda la serialità chi conta è il creatore della serie o lo showrunner. Sono loro a condurre il gioco e al regista, a confronto, resta ben poca responsabilità, specialmente in post-produzione, e molta meno libertà creativa.

Anche nel caso di Hatfield e McCoys?

È il risvolto della medaglia. Ma d'altra parte, lavorando a una serie, ho molta più libertà, per esempio per quanto riguarda il cast. Va bene così. Lavorare a una serie offre vantaggi e svantaggi - come regista il mio unico dovere è di realizzare un prodotto che piaccia al pubblico - ma è comunque meglio che cercare di realizzare un film con le odierne limitazioni.