Recensione G.I. Joe: La nascita dei Cobra (2009)

"G.I. Joe - La nascita dei Cobra" è esattamente quello che ci si potrebbe aspettare da un film che ha per protagonista la famosa serie di action figures: muscolare, fracassone, grondante di effetti speciali, ma anche privo di un vero e proprio sviluppo narrativo e ricolmo di stereotipi patriottici.

Guerre tra pupazzi

Il cinema d'intrattenimento americano negli ultimi anni sta sempre più divenendo un'immensa giostra baracconesca, un avveniristico giocattolone per trastullare bimbi e adulti. Complice la pervasiva proliferazione degli effetti speciali digitali - cui si sta aggiungendo anche la nuova tecnologia del 3D -, agevolati dalla convergenza sempre più inestricabile con l'universo dei videogiochi e della narrazione seriale (dai fumetti, ai cartoons, alle serie tv), gli attuali blockbuster hollywoodiani sono ormai soprattutto un'esperienza di tipo visivo e sensoriale in cui, più che coinvolgere lo spettatore all'interno dei meandri di una storia articolata, si tende a stimolare una partecipazione di tipo prettamente ludico.

È dunque perfettamente normale che tra i soggetti privilegiati di queste produzioni, oltre agli arcinoti adattamenti di fumetti, cartoni animati, saghe fantastiche e naturalmente videogiochi, vi siano in primo luogo i giocattoli stessi, che prendono vita e corpo attraverso lo schermo cinematografico. Alcuni film, come La casa dei fantasmi o la serie di Pirati dei Caraibi, sono tratti da famose attrazioni e parchi a tema; altri ancora hanno per protagonisti noti franchise dell'industria del giocattolo, tra cui Transformers, appunto questo G.I. Joe, e forse tra poco anche Masters of the Universe. Da questo punto di vista, quindi, non stupisce che la Warner Bros. stia per varare un progetto cinematografico incentrato sull'universo LEGO; né che un regista postmoderno come Ridley Scott sembri entusiasta di dirigere un film dedicato all'archetipo di tutti i giochi da tavolo: Monopoli.
Dopo i vertiginosi incassi internazionali della saga dei Transformers era inoltre più che logico attendere la trasposizione su pellicola anche di un altro celebre brand targato Hasbro quale G.I. Joe. Non per niente è stato il medesimo produttore dei film sui robot trasformabili, Lorenzo di Bonaventura, ad aver fiutato la possibilità di mettere in cantiere un altro blockbuster sbancabotteghini. Del resto i prodotti G.I. Joe sono stati tra i primi a sviluppare una strategia di marketing integrata, che li ha consacrati a un successo su scala globale. Nati nel 1964 come alternativa maschile alle Barbie, gli action figures dei G.I Joe hanno cominciato a diffondersi proprio a ridosso della guerra del Vietnam, veicolando sin da subito un'ideologia di stampo patriottico (nonostante i riferimenti militari fossero stati rimossi durante gli anni più bui del conflitto vietnamita). Non a caso la Hasbro decise di rilanciare il prodotto proprio nel 1982, quando cioè la politica imperialista di Ronald Reagan stava iniziando dispiegare i suoi effetti sul piano internazionale. Il successo della nuova serie di pupazzi fu in questo caso garantito da una strategia promozionale a tutto campo, in cui si integravano con efficacia media differenti. Oltre ai giocattoli, infatti, le avventure dei G.I. Joe presero a vivere anche in una serie a fumetti (all'inizio prodotta dalla Marvel e affidata allo sceneggiatore Larry Hama), in cartoni animati e in alcuni videogiochi. Le vicende di questa truppa speciale cominciarono a essere inserite in un contesto narrativo più articolato, mentre i singoli personaggi svilupparono delle caratteristiche più dettagliate, per quanto sempre legate a psicologie estremamente lineari e stereotipate. Si delinea così la storia della squadra segreta dei G.I. Joe, guidata dal comandante Duke, in lotta contro l'associazione terroristica COBRA, che vede a capo il contrabbandiere d'armi senza scrupoli Destro.

Il regista Stephen Sommers (noto per essersi cimentato nella rivitalizzazione dell'horror classico in chiave digitale con Van Helsing e con il ciclo de La Mummia) sceglie di rispettare fedelmente la schematica impostazione di partenza, senza nessuno sforzo d'elaborazione del soggetto originale, né di trasposizione delle vicende in una chiave più realistica. D'altronde qualunque tentativo di riscrittura secondo un'ottica dotata di maggiore complessità sarebbe di certo fallita, viste le naturali aspettative dei fan nei confronti di questo tipo di produzioni. L'ovvio risultato è, quindi, un film che vive esclusivamente di fragorose scene d'azione (tra le quali una in cui viene distrutto letteralmente il centro di Parigi, Torre Eiffel inclusa), tenute insieme da un esilissimo collante narrativo che non fa che ripetere gli stereotipi della serie originale. L'impostazione ideologica di fondo è sempre la medesima: è affidato ancora una volta all'esercito americano il compito di mantenere l'equilibrio mondiale, lottando contro forze terroristiche (che sembrano - ancora! - provenire dall'Europa dell'Est) e schierandosi in difesa di istituzioni (come la Nato, ma anche la Presidenza degli Stati Uniti) giudicate troppo deboli e corruttibili. Del resto, il fatto che il film esca nelle nostre sale l'11 settembre la dice già lunga su questo aspetto...

A essere completamente rinnovato, invece, è il design dei personaggi e, in generale, l'atmosfera più futuristica del contesto in cui sono inseriti. La computer grafica qui la fa da padrona, e si nota una notevole influenza del genere supereroistico e fantascientifico nella definizione delle armi e degli equipaggiamenti, a partire da una sorta di armatura alla Iron Man che i nostri eroi indossano per incrementare le loro capacità fisiche. Un restyling necessario per venire incontro ai palati dei giovani spettatori, desiderosi di effetti speciali all'avanguardia e di un montaggio ipercinetico e adrenalinico.

In definitiva si tratta di un prodotto concepito secondo le più avanzate tecniche di marketing e che ha già incassato cifre strabilianti nei botteghini di mezzo mondo. G.I. Joe: La nascita dei Cobra riscuoterà probabilmente lo stesso successo anche nelle nostre sale, a patto che pubblico riesca a prenderlo per quello che è: un immenso giocattolo per intrattenere spettatori più o meno disposti a una regressione infantile. Il rischio è altrimenti quello di soffermarsi sul lato (involontariamente) autoironico su cui scivola spesso il racconto, tanto che in certi momenti pare di assistere a un'opera parodistica sullo stile di Team America: ma quelli erano decisamente pupazzi di tutt'altra stoffa...