Recensione Retribution (2006)

Ambientato in una zona della costa di Tokyo ormai abbandonata, in cui i resti del passato sono ancora visibili malgrado il loro progressivo scomparire dietro una fagocitante modernità, Retribution trova proprio in questa scenografia l'epicentro dei propri significati.

Grida dal passato

Kiyoshi Kurosawa è fresco d'esordio nelle sale italiane con Pulse, ingannevole traduzione distributiva del titolo originale Kairo, del 2001. Mossa astuta in previsione dell'uscita del suo remake americano, ma che comunque non promette molto di buono sul futuro delle pellicole del regista nipponico in Italia. Nonostante, infatti, l'innegabile richiamo che hanno avuto gli horror giapponesi (e rispettivi rifacimenti) negli ultimi anni, il cinema di Kiyoshi Kurosawa è rimasto piuttosto in sordina rispetto a quello di altri registi del genere come Hideo Nakata e Takashi Shimizu. In questo senso però, va riconosciuta al cinema di Kurosawa una natura diversa da quella più tipica del filone; come evidentissimo in questo Retribution l'orrore è, prima che nucleo del racconto di genere, meccanismo di riflessione sulla morte e il passato, e motivo di analisi sull'uomo e la società.

Yoshioka è un detective incaricato di indagare su una serie di omicidi che hanno in comune l'annegamento delle vittime in piccole pozze d'acqua salata. Il ritrovamento delle sue impronte digitali e di alcuni effetti personali nei luoghi dei delitti però, innescano nell'uomo il dubbio di essere lui stesso il realizzatore degli omicidi. Ma nonostante la lucidità per portare avanti le indagini sia attaccata dall'apparire di uno spettro in abito rosso, Yoshioka non è intenzionato ad interrompere le ricerche, anche a costo di dover affrontare delle terribili verità sul proprio passato.

Ambientato in uno scenario inusuale, una zona della costa di Tokyo ormai abbandonata, in cui i resti del passato sono ancora visibili malgrado il loro progressivo scomparire dietro una fagocitante modernità, Retribution trova proprio in questa scenografia, in bilico tra quello che è stato e futuro, l'epicentro dei propri significati. L'acqua, elemento tradizionalmente salvifico (e più volte riconoscibile nel cinema di Kurosawa), è qui invece il punto di giuntura tra i mondi paralleli della vita e della morte, del presente e del dimenticato, della colpa e del castigo. Universi che si confondono nel tentativo di compensarsi, dove il presente è territorio di terrore e volontaria amnesia verso un passato assetato di vendetta. Così, mentre nel protagonista si insinua il dubbio della colpevolezza, i fantasmi di un ricordo abbandonato e nascosto riaffiorano urlanti confondendosi con le grida della coscienza. In questo il punto di forza e la singolarità del cinema di Kurosawa, regista capace di andare oltre gli stilemi dell'horror e dei più classici kaidan eiga; in Retribution lo spettro, il castigo, il peccato da espiare non è altro che tutto ciò che si è finto di non vedere, una colpa inammissibile, una realtà inaccettabile, qualcosa di spaventoso con cui prima o poi bisognerà fare i conti.