Gli zombie di Romero da Plum Island al Lido di Venezia

Il papà degli zombie a confronto col pubblico di Venezia. L'infaticabile Romero ci offre la chiave di lettura del suo ultimo capitolo zombesco, il macchiettistico Survival of the Dead.

Il papa degli zombie George A. Romero, nonostante gli acciacchi di salute che da tempo lo affliggono, conserva intatta la sua proverbiale energia e sbarca a Venezia per presentare il sesto capitolo della saga dei morti viventi, Survival of the Dead. Il discorso politico sugli Stati Uniti e, di riflesso, sulla società contemporanea globalizzata, non si interrompe in un episodio in cui la dimensione comica si mescola a quella puramente orrorifica, ma che elegge a vero focus del film le relazioni umane che si instaurano tra i vivi, vera causa di tutti mali.

Quanti altri film sugli zombie ha intenzione di realizzare

George A. Romero: Non lo so. Molto dipende dalla situazione economica che attraverso. Vorrei distanziarli di più l'uno dall'altro, ma è una questione finanziaria. Io ho moltissime idee. Mi piacerebbe realizzarne al più presto un altro, continuando a toccare i temi sociali che mi stanno a cuore.

Chi sono gli zombie oggi?

George A. Romero: Non so chi siano i morti viventi nella società attuale, ma di recente un reporter ha fatto un commento su un mio film parlando di legame con la cultura occidentale. I miei film sono una sorta di western allegorici e come i classici western parlano della sopravvivenza dell'individuo. Infatti tra i miei modelli vi è Il grande paese di William Wyler. Ho guardato il film insieme al direttore della fotografia e vi abbiamo riflettuto su a lungo prima di realizzare Survival of the Dead.

L'ambientazione di questo film è estremamente interessante. I personaggi sono bloccati su un'isola, in una situazione in cui sono circondati soltanto dal mare. Può spiegarci il perché di questa scelta?.

George A. Romero: Era il concetto di base su cui il film è stato costruito. L'isola dovrebbe essere un posto sicuro, per favorire la sopravvivenza degli umani, evitando che gli zombie raggiungano la comunità.

Il suo film nasconde riferimenti espliciti a una guerra in particolare?

George A. Romero: Non mi sono ispirato a una guerra specifica per questo film, anche se vedendolo vengono in mente molti conflitti: l'Irlanda del Nord, l'Iraq. Ma io ho voluto parlare soprattutto dell'incapacità dell'uomo di dimenticare e costruire una società migliore.

Il film parla dell'intolleranza, dell'incapacità di convivere con persone diverse da noi. Al riguardo i due protagonisti mantengono una posizione ambigua.

George A. Romero: In effetti O'Flynn e Muldoon volevano evitare la degenerazione degli eventi, ma si trovano coinvolti in questa lotta. O'Flynn alla fine si trova a porsi il problema, a chiedersi se aveva realmente ragione. Il nostro problema è quello di schierarci con quella o quell'altra bandiera senza valutare le varie posizioni.

Perché lei ha sentito il bisogno di tornare al genere zombie per tre volte in questi ultimi dieci anni?

George A. Romero: I primi tre film erano collegati, erano una specie di saga. Dal quarto in poi abbiamo ricominciato da zero. Non penso, però, che siano stati i miei film a mantenere in vita la passione per gli zombie quanto i videogames. Io non gioco con i videogames e non cerco di adeguare il mio stile e il mio ritmo a quello dei videogiochi, ma continuo a fare film a modo mio e col mio ritmo.

Nel film gli zombie si stanno evolvendo, imparando a mangiare la carne di cavallo laciando speranza per il futuro, invece i vivi regrediscono. Alla fine i veri zombie sono i due nemici, Patrick O'Flynn e Muldoon e, più in generale, gli esseri umani.

George A. Romero: Ho sempre avuto simpatia per gli zombie, mi sento molto più vicino e somigliante ai morti viventi rispetto ai vivi. Gli zombie mi piacciono perché sono innocenti.

Gli zombie moderni sono molto più veloci, molto più aggressivi dei suoi. Cosa pensa dei nuovi morti viventi? Non ha intenzione di attualizzare anche i suoi?

George A. Romero: Per me ha più senso mantenere il mio stile. Per alcuni fa più paura vedere gli zombie che corrono veloci, io mi spavento di più a vederne sempre in quantità maggiore. Io sono cresciuto con La mummia, un film che ancora mi spaventa. E' un concetto di paura che appartiene alla mia generazione.

Le piace che le sue opere siano sempre sottoposte a una rilettura politica o preferirebbe essere considerato un autore horror e basta?

George A. Romero: No, io amo il genere horror, ma mi fa piacere poter dire qualcosa sulla società. Non trovo che questo sia un problema per me, anche perché mi diverto sempre tantissimo a realizzare i miei film horror.

Il film è intriso di una strana atmosfera country e in alcuni punti vi sono anche musiche country. Lei è un fan del genere?

George A. Romero: No, non sono un grande fan del genere country e visto che non mi piaceva uno dei personaggi ho deciso di abbinargli quella roba lì, ma io non la ascolto.