Gladiatori di Roma 3D e il processo creativo della Rainbow CGI

Abbiamo visitato gli studi romani della Rainbow CGI per dare un'occhiata al nuovo lavoro che sarà nelle sale il 19 Ottobre ed osservare da vicino le varie fasi della lavorazione del film.

Parlare di cinema d'animazione e limitarsi soltanto a Pixar, Dreamworks e gli altri colossi, americani e non, sarebbe come discutere di calcio rifiutandosi di guardare al di sotto di Maradona, Pelè o Platini: si tratta di un mondo ampio e variegato, che offre un campionario di talenti ed appassionati artisti che lottano ogni giorno per guadagnare quel briciolo di visibilità ed apprezzamento che meritano.
Tra questi c'è sicuramente la Rainbow CGI, che tale visibilità l'ha ottenuta per aver firmato uno dei fenomeni italiani degli ultimi anni, quelle Winx tanto amate dal pubblico di giovanissime che fanno sognare con le loro magiche avventure. Ma lo studio nato per volontà di Iginio Straffi non si è adagiato sul successo delle sue colorate fatine, mettendo in produzione un ambizioso terzo lungometraggio ambientato nell'antica Roma, che è stato al centro della nostra visita agli studi romani della società.

In produzione sin dal 2006, praticamente da quando la Rainbow è operativa, Gladiatori di Roma è un ambizioso lavoro diretto dallo stesso Straffi che sarà nelle sale dal prossimo 19 Ottobre, distribuito da Medusa. Rispecchiando l'usanza italiana di dare voci celebri ad alcuni personaggi del film, il regista Iginio Straffi ha scelto di chiamare a dar voce ai tre personaggi principali, Timo, Diana e Lucilla, tre volti noti dello spettacolo italiano: Luca Argentero, Belen Rodriguez e Laura Chiatti.
Il film, ambientato nella Roma Imperiale, ruota intorno alla figura di Timo, rimasto orfano in seguito all'eruzione di Pompei ed adottato dal generale Chirone che lo cresce nell'Accademia di Gladiatori più famosa di Roma. Il piccolo non è però adatto alla vita da gladiatore e se ne disinteressa completamente, almeno fino al ritorno dalla Grecia di Lucilla, figlia di suo padre adottivo. Per conquistare la bella compagna d'infanzia, Timo dedica tutto sè stesso a diventare un valoroso gladiatore e per fortuna trova la personal trainer Diana, la più in gamba di Roma, che tra stregonerie e duri addestramenti aiuta Timo a portare a termine la sua impresa.

Del film abbiamo visto in anteprima un paio di clip che hanno già saputo mettere in evidenza alcune caratteristiche interessanti, in primo luogo la caratterizzazione dei vari gladiatori, ognuno con il suo stile di combattimento e le sue mosse speciali, un po' come nei classici picchiaduro da console. Intrigante anche l'uso delle musiche curate da Bruno Zambrini e delle canzoni, in gran parte cover, che accompagnano l'azione, ed una stereoscopia sfruttata a dovere, sia per dare profondità alle ricche scenografie, sia per dare enfasi ad alcuni elementi delle sequenze. I personaggi, a cominciare dal protagonista Timo, sembrano accattivanti (ma ci riserviamo di giudicare il lavoro della Rodriguez a film completo, perchè il primo impatto non ci ha convinto del tutto), le scenografie curatissime nel ricalcare la Roma Imperiale (con le dovute licenze prese per esigenze drammaturgiche e visive), le animazioni vivaci e caratterizzanti, con qualche incertezza solo in alcuni dettagli (la dinamica dei fluidi non ci è sembrata all'altezza di altri aspetti della messa in scena, tanto per fare un esempio tecnico).
Sono clip che evidenziano l'evoluzione tecnica in corso alla Rainbow, quel bagaglio di conoscenze tecniche e know-how che rappresenta il vero tesoro di una società che lavora in questo campo e che va ad accrescersi film dopo film.
Perchè è vero, come dicevamo, che sarebbe ingiusto paragonare Gladiatori di Roma 3D al più recente film Pixar, ma è pur vero che, volendo mantenere la metafora iniziale, se in quel caso ci troviamo di fronte al Maradona dell'animazione, qui siamo tranquillamente dalle parti di un onestissimo e promettente giovane talento italiano, il cui lavoro assiduo e meticoloso è assolutamente evidente.

E' stato proprio questo il focus della nostra visita in Rainbow CGI: guidati dall'amministratore delegato Francesco Mastrofini, abbiamo assistito alla nascita di una breve sequenza, dal primo bozzetto alla scena completa, analizzando ogni step insieme ad un supervisore del relativo reparto.
E' l'art director Vincenzo Nisco, tornato in Italia dopo una lunga esperienza in Disney, ad introdurci alle prime fasi della lavorazione: dall'idea, in questo caso quella di rappresentare Roma in 3D, al suo sviluppo (la storia di un ragazzo non nato per essere un gladiatore, ma che si ritrova ad esserlo), fino alla stesura di un soggetto e successivamente di una sceneggiatura completa, in tal caso composta da 130 scene, ognuna delle quali articolata in più inquadrature, fino anche a cento diverse. Ognuna delle quali necessita di una lavorazione importante, che richiedere le capacità tecniche ed artistiche di diverse figure professionali.

Si parte dalla pre-visualizzazione, da un passaggio chiamato thumbnail che è di fatto un pre-storyboard molto rapido da realizzare, per poter esaminare più alternative con una mole di lavoro minimo. Si passa poi allo storyboard vero e proprio, che consente di visualizzare i diversi momenti della sequenza da realizzare, temporizzati ed animati poi in un movieboard, scandito dai dialoghi registrati da membri dello staff per fornire una traccia su cui lavorare.
Si passa poi alla fase di Design, entrando in pura fase artistica. Va prima di tutto scelto lo stile visivo del film, se realistico o più cartoonistico, che riferimenti usare per i personaggi (per Timo, il protagonista di Gladiatori di Roma, Straffi aveva in mente un tipo alla Brad Pitt), per poi realizzare vari bozzetti per inquadrare i diversi personaggi che comporranno la storia. Vanno inoltre definite che tonalità di colori usare per le diverse sequenze della storia.

Solo allora si entra in una fase più tecnica, quella della modellazione. Qui vengono letteralmente scolpiti i modelli tridimensionali che vedremo nel film e noi stessi abbiamo assistito ad una acceno di questo processo mentre uno degli artisti Rainbow trasformava un semplice cubo in un abbozzo di volto umano. Ogni oggetto non è però solo forma, ma anche sostanza ed apparenza, e quindi subito dopo subentra il lavoro denominato surfacing che definisce le proprietà di tutti i materiali che compongono le parti del modello finale. Parliamo di definizione perchè qui si stabiliscono le caratteristiche precise di ogni dettaglio, che verrà poi riutilizzato da tutti gli artisti della società, per assicurare continuità e precisione ai lavori, creando una vera e propria libreria di materiali che possono essere riutilizzati anche nei progetti futuri o come base di partenza per realizzarne altri.
E' anche la fase in cui gli artisti possono aggiungere tocchi più propriamente grafici, lavorando direttamente sulle texture, sia nella loro versione aperta, che direttamente sul modello 3D, dipingengo letteralmente sugli oggetti solidi, come molti di noi hanno fatto almeno una volta su un disegno piatto in software alla Photoshop.

Dovendo lavorare ad un film, quindi ad immagini in movimento, diventa essenziale lo step successivo della lavorazione, quello del rigging. Il modello appena creato, per quanto dettagliato ed accattivante, è un oggetto statico al quale gli animatori non potrebbero dar vita ed è in questa fase che la magia si compie: i tecnici del rigging aggiungono lo scheletro al modello, definendo i punti in cui può piegarsi e come, se porzioni di carne sono muscoli, e quindi si tendono, o grasso, che invece ballonzola. E per rendere più agevole l'operazione per gli animatori, creano una serie di handle, letteralmente di maniglie, che permettano loro di spostare parti del corpo in modo semplice ed immediato.
In realtà semplice ed immediato è un eufemismo, perchè si tratta comunque di un'operazione lenta e laboriosa e basta guardare l'infinità di controlli che ha soltanto il volto di un personaggio per capirlo.

Ci sono ormai le parti sufficienti per poter dar vita alla scena: si pongono i personaggi sulla scenografia, come su un set cinematografico, e si spostano nello spazio secondo una temporizzazione che dovrà rispecchiare quella del movieboard realizzato inizialmente, che funge da vera e propria guida per gli animatori. Si realizza quindi una prima animazione più veloce, a cui altri tecnici aggiungeranno il loro contributo: chi si occupa di dinamica dei materiali dovrà far sì che alcuni oggetti si comportino in modo naturale (abbiamo visto notevoli esempi di algoritmi che calcolano il movimento di capelli e tessuti), mentre chi si occupa del lightning aggiungerà le luci proprio come un direttore della fotografia reale.
A sequenza ormai messa insieme, il lavoro arriva nelle mani del responsabile che ha a disposizione un software proprietario Rainbow per poter intervenire su ogni aspetto di ogni oggetto che appare in scena, alterando luci, colori, ombre, per assicurare aderenza al color key iniziali, ma soprattutto coerenza tra porzioni di film che possono essere realizzate a mesi, se non anni, di distanza le une dalle altre.

Sembra complesso, vero? Ora immaginatelo ripetuto per ogni sequenza del film (tutto quello che abbiamo visto era riferito ad una sequenza che nel complesso non durava che pochi secondi) e capirete la mole di lavoro che c'è dietro ad opere di questo tipo e la naturale difficoltà che una società come la Rainbow CGI deve affrontare per tener testa a concorrenti che hanno risorse, ed anni di esperienza, di gran lunga superiori alle loro. Per questo sono ammirevoli i risultati ottenuti, sia in termini di popolarità presso il loro target principale, come è accaduto con le Winx, sia in quanto a risultati, come le prime clip di Gladiatori di Roma 3D ci hanno anticipato. In questo tipo di produzioni, l'importante è andare sempre avanti, far sì che il know-how raggiunto diventi un punto di partenza per gli sviluppi successivi. Ed alla Rainbow questo sta accadendo.