Giovanni Allevi: un sognatore a Giffoni

Il nostro incontro con il musicista marchigiano a cavallo tra musica, cinema e immaginazione.

Che Giovanni Allevi sia un eccentrico è noto da tempo. Nell'ambiente formale e rigoroso dei musicisti classici il pianista dinoccolato dai riccioli ribelli, la cui divisa d'ordinanza sono jeans e t-shirt, non è visto di buon occhio. Il grande pubblico, però, è rimasto affascinato dalle sue melodie immediate e sognanti tanto da trasformarlo in una specie di rock star con buona pace degli accademici. Allevi si presenta sul palco con la sua aria stralunata, insiste per sedersi sul pavimento per dialogare meglio con la giuria e poi si scusa ripetutamente quando è costretto a dare le spalle al pubblico per vedere il video omaggio a lui dedicato. La chiacchierata è intervallata dall'esecuzione di alcuni tra i brani più celebri: Back to Life, Downtown e Jazzmatic.

Giovanni, cosa si prova a essere qui a Giffoni circondato dal calore del pubblico giovane?
Giovanni Allevi: Non ho parole, mi sembra un sogno. Sono stato molto attaccato dal mondo accademico musicale e tante volte ho pensato che fosse finita. Il calore del pubblico mi fa pensare che la mia musica sia arrivata al cuore dei giovani.

Come gestisci la fama?
A me non interessa la fama, non è per questo che faccio il musicista, ma quando si diventa famosi siamo obbligati a esprimere una volontà di potenza. Viviamo in una società in cui siamo costretti a omologarci a modelli banali perché magari sono ricchi, belli, forti. Io sono un po' scombinato, anzi, sicuramente finirò in un ospedale psichiatrico e verrete a portarmi i dolcetti. La mia musica nasce dalla mia fragilità, dalla mia imperfezone. Quando ho capito che la mia forza è la mia fragilità ho iniziato a vivere, a respirare. La speranza è che la musica possa aiutare ognuno di noi a superare le proprie fragilità, a non omogarsi ai modelli che gli vengono appiccati addosso.

Hai un debito di gratitudine nei confronti di Jovanotti che ti ha lanciato.
A Jovanotti va tutta la mia riconoscenza perché è stato uno dei primi ad apprezzare il mio stile. Quando i suoi produttori mi hanno chiamato per dirmi che volevano farmi fare un album io stavo dormendo sul pavimento della stazione di Torino. In quel periodo stavo facendo concerti classici in giro per l'Europa, ero un nomade, e quando il responsabile mi ha chiamato dicendo che aveva prenotato lo studio di registrazione di Milano per me ho capito che nella vita tutto può succedere.

Morricone ha dichiarato che chi non è davvero arso dalla passione deve lasciar perdere la musica perché richiede tempo e fatica.
Posso essere d'accordo con l'idea di Morricone, ma mi pare brutta questa cosa del lasciar perdere. Scoprire il proprio talento nella vita non è facile. Non tutti riescono a capirlo in tempo e a volte rischi di perdere di vista ciò che ami davvero. Platone l'aveva capito dicendo che noi conosciamo il nostro talento prima di nascere, poi ce lo dimentichiamo quando veniamo al mondo, ma abbiamo tutta la vita per ritrovarlo. Non dobbiamo lasciar perdere, però dobbiamo fare le cose con una passione bruciante.

La tua musica rispecchia il tuo carattere?
Per niente. La mia musica è altro da me. Io sono un ansioso, mentre la mia musica è estroversa. Mi faccio trascinare dalla musica e mi lascio trasportare lontano dal buio che è dentro di me, verso la luce.

Nel 1996 hai musica Le troiane di Euripide. Quale è il tuo rapporto con la letteratura greca?
Le tragedie sono storie in cui ci sono due personaggi che si scontrano, ma hanno ragione entrambi. Il pubblico rimane sgomento perché riesce a non prendere posizione per l'uno o per l'altro. Credo che la cosa migliore che una tragedia possa fare è permetterci di rielaborarla, farla propria per crearne una versione moderna. Questo è il mio rapporto con la classicità. Ho studiato tutta la vita Mozart e Beethoven non per rimanere schiacciato dalla loro grandezza, ma per poter scrivere la mia sinfonia.

Anche tu sei un 'forever young' come Giffoni?
Viviamo in una società adulta. Dov'è finito lo spazio per i sognatori? Oggi tutto è già confezionato e inquadrato. Le donne hanno già la strada incasellata. Devono lavorare, poi devono diventare mamme per forza. Devono essere per forza belle. Il bambino che è in noi dovrebbe ritrovare la natura più profonda dell'essere. La musica ha questo potere. Davanti al pianoforte io mi sento ancora un bambino.

Dopo le critiche feroci di alcuni colleghi hai dichiarato di essere finito in depressione per due anni e di aver avuto un blocco creativo. Come hai superato questo momento?
Non l'ho superato. Ho un carattere terribile. Se uno mi pesta un piede io chiedo scusa perché gliel'ho messo sotto. I pilastri nella mia personalità sono l'ansia e il senso di colpa. Quando i colleghi hanno cominciato a massacrarmi io non capivo perché, ma ho una nutrita rassegna stampa di critiche verso la mia musica, ma soprattutto verso la mia persona. Poi ho capito. Il sognatore fa paura perché è sovversivo, è libero e ti ricorda il sognatore che sei stato, ma che hai messo da parte per trovare un posto sicuro nella società. Oggi davanti ai conservatori c'è la mia foto con su scritto 'Giovanni Allevi non può entrare'. Per tanti anni ci sono stato male, oggi mi spunta un sorriso diabolico sul volto.

Hai ancora paura del palcoscenico?
Quando faccio i concerti dietro le quinte tremo come una foglia. Sono terrorizzato. Nel mio staff c'è sempre qualcuno che mi dà una spinta prima di entrare sul palco infatti entro sempre correndo. Non voglio sminuire il pop, ma penso che cantare una canzone è più semplice. Invece il piano ha 88 tasti contro 10 dita. Mica è giusto. Quando però arriva l'applauso io dimentico la paura. Quando facevo il pianista classico sentivo l'applauso perché avevano apprezzato la mia esecuzione, ma ora è diverso perché si tratta della mia musica. Sono talemnte felice che alla fine dei concerti abbraccio tutti con un trasporto al limite dell'accettabilità sociale.

Le tue composizioni rappresentano una valvola di sfogo? Comporre ti aiuta a esorcizzare la tua sofferenza interiore?
Quando compongo non lo faccio per creare emozioni né per sfogarmi. Mentre lavo i piatti arriva una musica nella mia testa. Quella musica la riporto sul pentagramma così come'è arrivata. Magari in quel momento ero triste, ma la musica è spensierata. Ho la sensazione che la mia musica sia altro da me, ma il meccanismo rimane misterioso.

Come spieghi la distanza tra i giovani di oggi e la musica classica?
Se dico quello che penso mi arrestano, ma lo dirò lo stesso. La distanza infinita che molti giovani provano nei confronti della musica classica deriva dal fatto che è stata scritta secoli fa. Il mondo è cambiato, cambia continuamente a velocità vorticosa. Oggi come nel 1500 c'è il culto del passato, della classicità. Guardiamo indietro e diamo per scontato che questo sia un gesto nobile, ma io sono un compositore contemporaneo e vivo il presente. Per creare un collegamento con il passato l'unico modo è recuperare le forme della classicità e rielaborarle in chiave moderna, creare una musica classica nelle forme e contemporanea nei contenuti. Per aver fatto questo io sono stato crocifisso e ne capisco la ragione, ma non ho potuto fare altro.

Secondo te la musica è in grado di combattere la crisi?
Sono consapevole della crisi e del crollo delle certezze, ma bisogna approfittarne per costruire qualcosa di nuovo. Dalla mia crisi personale è nato un nuovo entusiasmo per la composizione. Questo può accadere a chiunque, l'importante è non cedere al disfattismo. Ora che tutto sta crollando tutto torna nelle mani dei giovani.