Recensione Quell'idiota di nostro fratello (2011)

Alla commedia di Jesse Peretz non mancherebbero certo gli elementi per essere definita interessante, ma la sensazione è che il film non riesca ad andare al di là del racconto carino, concedendosi solo alcuni attimi divertenti.

Giovane, carino, disoccupato

Ned vive in campagna con l'amata Janet e un cane, Obi Wan Kenobi, che ama quasi come fosse un figlio. Il suo banco di verdura al Farmer's Market del paese è il più frequentato e apprezzato dai concittadini e, a parte l'indubbia simpatia che l'uomo nutre per la cannabis, Ned è quel che si dice un gran bravo ragazzo. Finito in galera per i suoi traffici, ma uscito subito per buona condotta, il poveretto scopre che la fidanzata lo ha rimpiazzato con un altro, che ha preso in ostaggio il cane, e che lo ha sbattuto fuori di casa. Ned si vede per questo costretto a tornare a New York dai suoi. La madre, ormai vecchia e malandata, non può prendersi cura di lui e ciò costringe l'uomo ad un 'pellegrinaggio' a casa delle sorelle, naturalmente con esiti disastrosi. Abituato ad essere sincero con tutti, Ned non riesce proprio ad entrare in sintonia con Miranda, giornalista d'assalto solita a dominare gli uomini, Liz, madre agitata di due figli e soprattutto moglie di un regista di documentari vanesio e fedifrago e Natalie, strampalata stand-up comedian legata da tempo ad un'avvocatessa. Anzi, dietro al puntuale crollo emotivo delle tre, per motivi lavorativi o sentimentali, c'è sempre un'azione più o meno inconsapevole di Ned. Fatto fronte comune contro l'invasore, le donne si rendono conto di non poter fare a meno di quel fratello strampalato e buono e decidono di dargli sul serio una mano a riappropriarsi della sua vita.


A Quell'idiota di nostro fratello, commedia di Jesse Peretz, bassista e fondatore dei Lemonheads, non mancherebbero certo gli elementi per essere definita interessante e sono probabilmente gli stessi che ne hanno decretato il grandissimo successo in patria (circa 25 milioni di dollari guadagnati a fronte dei 5 milioni investiti per produrla), dopo la presentazione al Sundance Film Festival del 2011. In primis la figura del protagonista, un amabile candido la cui sincerità disarma e mette in crisi il prossimo, ben interpretato da Paul Rudd, attore che non si è mai consacrato definitivamente, ma che in questo contesto riesce ad essere molto efficace, sfruttando appieno il physique du rôle; poi una storia fresca e simpatica, raccontata con un umorismo leggero, un apologo sul quel grande mistero che è l'essere fratelli. Figli degli stessi genitori, cresciuti in un habitat uguale, ognuno riesce ad essere diverso dall'altro, sviluppando delle qualità peculiari o nel peggiore dei casi non sviluppandone affatto, con tutte le piccole e grandi crisi che questo porta con sé.

Eppure la sensazione è che il film non riesca ad andare al di là del racconto carino, concedendosi solo alcuni attimi divertenti, ma restando sempre in superficie e, quand'anche non fosse necessario un eccessivo approfondimento, appigliandosi a certe situazioni tipiche da cinema indie (la descrizione dei riti di una famiglia disfunzionale, la programmatica ingenuità del protagonista, opposta nettamente al resto del mondo) per strappare una risata che non arriva. Il trio di nevrotiche sorelle, poi, è un concentrato dei più triti cliché cinematografici sulle donne, un distillato di stereotipi difficile da digerire; inserite in uno script dagli sviluppi quanto mai prevedibili, l'elegantissima e fredda redattrice di Vanity Fair innamorata del migliore amico, l'intellettuale depressa e malmaritata, la strampalata attrice-modella lesbica, nell'ordine Elizabeth Banks, Emily Mortimer e Zooey Deschanel, non riescono a dare alla storia quella verità che conferisce bellezza anche al più semplice dei film. Scritta a quattro mani dalla sorella del regista, Evgenia Peretz, e dal marito David Schisgall, la sceneggiatura regala davvero pochi momenti memorabili, tutti legati alla goffa simpatia di Rudd e alle operazioni di 'liberazione' del cane Obi Wan Kenobi, ma non trova nella regia un adeguato contraltare in grado di metterli in risalto.

Movieplayer.it

2.0/5