Gioco sul set: Incontri ravvicinati del terzo tipo

E' venuto il momento di parlare degli attori. Mi concentrerò su tre di essi, perché mi stanno a cuore e perché si portano dietro degli aneddoti interessanti sulla lavorazione del film.

E' venuto il momento di parlare degli attori. Mi concentrerò su tre di essi, perché mi stanno a cuore e perché si portano dietro degli aneddoti interessanti sulla lavorazione del film.
Il primo, mi perdonerete questa parentesi malinconica, è Francois Truffaut, grande regista francese che mi ha spezzato il cuore più volte coi suoi film pieni di poesia. Truffaut interpreta, nel film di Steven Spielberg, lo studioso francese Lacombe, un uomo che studia ciò in cui crede e che ama sognare ciò che studia. Lacombe è un personaggio determinato, ma animato da una passione reale e infantilmente dolce per gli extra terrestri. Non è un caso che sia proprio lui a dare l'ultimo saluto ai simpatici ed innocui esseri discesi dallo spazio. Lui li ha tanto cercati, lui ha così fortemente creduto nella loro esistenza, a lui spetta il commiato, nella toccante scena finale. Un commiato che vale doppio, almeno per me. Perché Truffaut morirà ancora giovane, sette anni dopo questo film, nel pieno della sua vita artistica, come un film lasciato a metà.

Il secondo attore di cui voglio parlare è il protagonista del film, Richard Dreyfuss. Chi di voi lo ricorda nei panni del simpatico (e fortunato) protagonista del film Lo squalo (1975)?
Dreyfuss rimase in stretto contatto con Spielberg dopo la fine di quel film e fu proprio a lui che il regista raccontò per la prima volta l'idea di girare un film sugli extra terrestri. Dreyfuss si appassionò talmente all'idea che aiutò Spielberg nella stesura della sceneggiatura provvisoria e ci rimase molto male quando l'amico gli comunicò che aveva intenzione di far interpretare il protagonista principale della storia a Steve McQueen. Per la fortuna di Dreyfuss, il grande attore rifiutò la proposta e solo allora Spielberg si rese conto che aveva davanti agli occhi l'attore principale della storia. Così Richard Dreyfuss ebbe la parte principale di un film che aveva amato sin dal principio della sua genesi e che con grande passione aveva sempre voluto interpretare.

Il terzo attore di cui parlerò è il piccolo Cary Guffey, che interpreta la parte di Barry, il figlioletto di Jillian. Ci sono parecchi simpatici aneddoti sulla recitazione del piccolo Guffey. Uno particolarmente divertente avviene nella scena che precede il suo rapimento da parte degli alieni. Il piccolo Barry accorre alla finestra e si mette a guardare interessato in alto - il cielo, nel film - ed un sorriso gli arriccia le labbra, fino a che egli sussurra pieno di gaiezza la frase: "Toys, toys!" (giocattoli, giocattoli). Il risultato è stupefacente per la fiction. Il bambino non solo non teme gli alieni, le luci nel cielo, ma li paragona a dei giocattoli. Questa battuta esemplare non era però nel copione. Spielberg sapeva benissimo come fosse difficile far recitare un bambino così piccolo. Aveva così preso l'abitudine di portare sul set, ogni giorno, un regalo diverso per il piccolo Cary, al fine di ingraziarselo. Spielberg sapeva perfettamente che un bambino così piccolo avrebbe reagito con maggior vitalità davanti ad oggetti realmente visibili piuttosto che agli ordini ricevuti. Così ebbe l'idea, per girare quella scena, di mettersi fuori campo con un pacco regalo in mano e di chiamare il piccolo Cary a guardare fuori dalla finestra. Il piccolo, effettivamente, corse alla finestra. Nel film lo vediamo guardare con interesse verso il cielo, in alto, ma egli sta guardando Spielberg stesso, fuori campo, che apre con studiata lentezza un pacco regalo destinato al bambino. Da qui l'esclamazione, assolutamente non voluta ma perfetta, "Toys, toys!".
All'inizio del film il piccolo Barry, incuriosito dai rumori che sente provenire dabbasso, scende in cucina per vedere di cosa si tratta. Spielberg aveva bisogno che il bambino, inquadrato a mezzo busto mentre osserva l'alieno relegato nel fuori campo, ottenesse due tipi di espressione: paura e sollievo, una dopo l'altra. Da un bambino così piccolo era ovviamente difficile ottenere il risultato voluto. A Spielberg venne un'idea geniale. Egli fece porre due grossi scatoloni fuori campo, davanti al bambino. In uno fece mettere un uomo travestito da scimpanzé, nell'altro un uomo travestito da clown. Quando il bambino scese le scale, fermandosi sulla soglia della porta, Spielberg fece uscire dalla prima scatola l'uomo travestito da scimpanzé: la reazione di Cary fu ovviamente di spavento. Immediatamente dopo l'uomo vestito da scimpanzé si tolse la maschera, per tranquillizzare il piccolo Cary e dall'altra scatola uscì fuori l'uomo vestito da clown. La reazione di Cary fu, ovviamente, di sollevata gioia. Noi spettatori non ci rendiamo conto di questo stratagemma. Tutto è relegato nel fuori campo, laddove rumoreggia, nel film, l'alieno che si è introdotto in casa. Assistiamo unicamente al piano americano di Barry che prima quasi retrocede spaventato e poi, come se si fosse reso conto di non correre pericoli, sorride divertito. Insomma, un gioco.
Portare il gioco sul set. Fare del film stesso un gioco. Ecco perché Incontri ravvicinati del terzo tipo ci appare come una fiaba. Perché girato da un bambino mai cresciuto per tutti noi bambini mai cresciuti.