Recensione Gente di Roma (2003)

Scola torna con il suo nuovo "Gente di Roma", in un collage di frammenti di vita, a svelare la città eterna e i suoi abitanti nuovi e vecchi, per un atto d'amore nei confronti della nostra capitale, del cinema e della vita stessa.

Gente de Roma

Ettore Scola torna con la sua nuova pellicola, Gente di Roma, per raccontarci della città e dei suoi abitanti. Lo fa attraverso piccoli e piccolissimi frammenti delle vite di decine e decine di personaggi, persi nelle loro tragiche, nostalgiche, tenere, comicissime avventure.
Cercare di legare tutte questi spaccati è quasi impossibile, collegati come sono solamente dalla capitale e dal bus che viaggia per la città stessa. I frammenti sono infatti raccontati in ordine cronologico, dall'alba fino al tramonto che si stende sulla città eterna.
Ma quello che poteva risultare un accozzaglia sterile di episodi slegati, assume invece un proprio respiro, cucito insieme dall'amore che Scola riversa in questa sua creatura.
Il regista getta il suo sguardo affettuoso su cose e persone, sottolinea la bellezza di opere e monumenti di una Roma incredibilmente eterea nel suo splendore storico (grazie anche alla magnifica fotografia di Franco Di Giacomo), proprio a renderla un panorama necessario per far risaltare il carattere fortemente burlesco e autoironico che distingue i suoi abitanti. Quella che ne viene fuori è una visione di una metropoli multietnica, in cui italiani e extracomunitari perdono qualsiasi distinzione, si mischiano e generano una nuova "razza": i romani.
Corrosivi, sanguigni, assolutamente "scafati", ma anche invecchiati, intristiti e immemori della propria piccola storia, questi innumerevoli personaggi ci donano un'ora e mezza di emozioni.
Vi faranno ridere con la loro battuta sempre pronta, con la loro faccia tosta, con il loro pressapochismo letterale (come nell'episodio in cui Valerio Mastandrea si getta alla conquista della sua vicina nell'autobus; un diluvio di dialettica farneticante unito ad una faccia di bronzo senza pudori), o vi faranno commuovere per le piccole e grandi tribolazioni presenti nella vita di tutti noi (come nell'episodio del ristorante, in cui un grandissimo Arnoldo Foà riesce a spremere risate e lacrime in ugual misura).
Definire il genere di questo film risulta quasi impossibile; a frammenti esilaranti si uniscono episodi commoventi, tristi o addirittura onirici, come per delineare le innumerevoli sfaccettature della vita stessa.
La sceneggiatura fa man bassa di leggende metropolitane, di episodi reali come la manifestazione indetta da Moretti a S. Giovanni in Laterano o come la partita Roma - Real Madrid, si sofferma sulle piaghe della vecchiaia, del licenziamento, del razzismo neanche tanto strisciante.
In definitiva Scola getta uno sguardo d'amore su tutta la città, sulle sue contraddizioni, sulle sue classi, sui suoi nuovi "acquisti", e ne trae un affresco agrodolce, appassionato, che a dispetto della partizione in tanti piccoli momenti riesce a dare l'idea di un qualche cosa di unito, unico e irripetibile, pur nelle sue diversità e contraddizioni.
Il risultato è un'opera freschissima e molto godibile, un atto d'amore per la vita, per il cinema e per quella grande incognita che è ed è sempre stata la nostra capitale: Roma.