Recensione I mercenari - The Expendables (2010)

L'opera non è solo una mera "operazione nostalgia", somiglia piuttosto ad un esperimento che mira a dimostrare quanto possa ancora funzionare oggi un certo tipo di film, un'opera onesta e roboante nel suo manicheismo, che non vuol piacere a tutti i costi e si lascia guardare con trasporto.

Generazione di fenomeni

Un'entrata in grande stile, a bordo di rombanti moto di grossa cilindrata. Un teschio minaccioso dipinto sulla carena, una scritta che non lascia spazio ad interpretazioni. Basta davvero poco per tratteggiare il mondo di Barney 'Schizo' Ross, capo di una banda di mercenari, o meglio di "Expendables", uomini che portano a termine obbiettivi militari senza grossi coinvolgimenti morali, con un lauto stipendio e senza il timore di morire. In questo gruppo di rinnegati che vivono fuori sincrono con il mondo convivono diverse anime: c'è Lee, un ex appartenente alla Forza Aerea Speciale Britannica, Gunnar, esperto cecchino, ma tossicodipendente, Yin Yang, veterano delle arti marziali. Non hanno alcun problema a sporcarsi le mani con missioni impossibili, il cui esito positivo viene puntualmente festeggiato nel laboratorio di Tool, un tatuatore-filosofo che da tempo ha abbandonato i campi di combattimento. E' proprio lui a mettere in contatto Barney con il suo prossimo datore di lavoro, il misterioso signor Church, che ha bisogno di Schizo e soci per un'azione che lo stesso Tool definisce "un viaggio all'inferno". Nella fattispecie, bisogna liberare l'isola di Vilena dal giogo del generale Garza, un militare che per denaro non ha esitato a vendere la sua terra a un gruppo di loschi figuri dediti alla coltivazione della cocaina. Dopo un giro di ricognizione in cui Barney ha modo di conoscere Sandra, figlia ribelle del generale, l'uomo decide di rinunciare. Qualcosa che non ha messo in preventivo, forse l'amore per quell'indomita ragazza, lo spinge a tornare sui suoi passi. Scopre così che i nemici indossano giacca e cravatta e sono diversi da quelli che aveva immaginato.

Sylvester Stallone (complice il botox) mette indietro le lancette dell'orologio e torna al suo pubblico con un filmone pieno zeppo di testosterone, I mercenari - The Expendables, una sorta di pellicola vecchio stile (tra i modelli citati dal regista-attore c'è Quella sporca dozzina) che è anche un omaggio voluto e appassionato all'action movie anni '80. Non è un caso che Sly abbia voluto contornarsi degli amici-nemici di un tempo, Bruce Willis (l'ineffabile Mr. Church) e soprattutto Arnold Schwarzenegger, protagonisti di un cameo al fulmicotone. Al governatore della California, che Stallone incorona già come prossimo presidente degli Stati Uniti (come dire, un solo Rambo al cinema è più che sufficiente), tocca la scena migliore di tutte. Riuniti davanti al protagonista della saga cinematografica di Die Hard, Stallone e Schwarzenegger danno vita ad un duello verbale all'ultimo sangue in cui fioccano stilettate e colpi bassi ("Hai perso qualche chilo dall'ultima volta" dice Schwarzy a Stallone che replica "li hai presi tutti tu").

Fanno bella mostra di sè anche Dolph Lundgren, il leggendario Ivan Drago di Rocky IV, qui nei panni del tossicomane Gunnar e soprattutto Mickey Rourke, il saggio Tool, uno per cui il tempo è passato e si vede tutto. Non mancano le stelle del nuovo firmamento come Jet Li, "costretto" ad apparire come uno dei tanti, nonostante la sua grazia basti da sola a tenere in piedi un film. Infine, c'è Jason Statham, rude attore britannico scoperto da Guy Ritchie e star in ascesa dell'immaginario iper muscolare. E' ingiusto però ridurre il film ad una mera operazione nostalgia; quello di Stallone è un esperimento (dai risultati crediamo più che prevedibili in termini di successo) che vuole dimostrare quanto possa ancora funzionare oggi un certo tipo di opera. La risposta è sì se a condurre il gioco c'è qualcuno che sappia il fatto suo, qualcuno che non abbia timore di sembrare retro con la sua voglia irrefrenabile di dividere il mondo in cattivi e buoni. Un applauso di cuore va a chi, come il produttore Kevin King, sostiene che per Stallone l'azione venga dopo la storia. Quello che diverte di più semmai è l'esatto opposto, ossia la totale mancanza di una struttura narrativa coerente, a favore di uno spettacolo che non è solo action, ma celebrazione dell'action e soprattutto di Sylvester Stallone. Una sorta di mito che si perpetua in eterno per la gioia degli estimatori più sfegatati. Dal punto di vista registico l'autore newyorkese si conferma per quello che è, un self made man che ha fatto tesoro delle sue esperienze cinematografiche passate ma che con la macchina da presa si limita davvero all'ordinaria amministrazione.

Lo zoccolo duro dei fan chiuderà un occhio sulle manie dei loro fortissimi eppur fragili eroi, alle prese con lo psicoterapia, l'orecchio a cavolfiore, la donna amata che parte per altri lidi. Piccoli aggiustamenti ad un modello che nella sostanza non perde un colpo, anzi. E chi pensa ad un trionfo del politicamente scorretto può stare tranquillo; a dispetto del famigerato sparo d'avvertimento di Gunnar, della pioggia di proiettili, dei pugnali volanti, questo terribile gruppo di mercenari spietati è un mazzetto di mammole al cospetto degli agenti della Cia, guidati dal venefico Eric Roberts. A Barney basta davvero schioccare le dita per avere al suo servizio un manipolo di fedelissimi soldati, pronti a tutto in nome dell'amicizia. E' un'opera onesta nel suo manicheismo che non vuol piacere a tutti i costi e si lascia guardare quasi con trasporto. Non c'è dubbio: come dicono i Thin Lizzy, i ragazzi sono tornati in città. E di passaggi di consegna non se ne parla proprio.

Movieplayer.it

3.0/5