Gabriella Pession e Adriano Giannini ricordano il dramma de Le 13 rose

Arriverà nelle nostre sale il prossimo 28 agosto, ma intanto è già partita la campagna promozionale del film co-prodotto da Italia e Spagna che racconta una tragedia al femminile agli albori del regime franchista. I due attori, accompagnati da sceneggiatrice e produttore, hanno presentato il film alla stampa, un'opera importante per non dimenticare.

Il cinema torna a raccontare scomode vicende, che hanno segnato la Storia, per non dimenticare e per alimentare una memoria collettiva che tenta spesso di rimuovere le atrocità di cui più si vergogna. E' il caso de Le tredici rose, film co-prodotto da Italia e Spagna, che ci riporta alla Spagna del regime franchista per raccontare una straziante storia di ingiustizia che vede innocenti vittime tredici giovani ragazze condannate a morte ingiustamente. Mosse da idee progressiste, nobili valori e bontà d'animo, le tredici ragazze, poco più che adolescenti, rifiutano di piegarsi ai diktat fascisti e vengono così incarcerate e poi mandate a morire come capro espiatorio, con l'accusa di aver aderito alla ribellione, commettendo reati contro "l'ordine sociale e giuridico della nuova Spagna". Tra i protagonisti del film, ispirato a un romanzo del giornalista Carlos Fonseca e diretto da Emilio Martínez Lázaro, anche tre brillanti attori italiani: Gabriella Pession, interprete di una delle tredici rose, Adriano Giannini, impegnato in un ruolo da vera carogna come quello del capitano Fontenla, ed Enrico Lo Verso. Uscito due anni fa in Spagna, con un buon successo di pubblico e le nomination a 14 premi Goya, Le tredici rose arriverà in Italia il prossimo 28 agosto, distribuito da FilmExport. Per parlare di questo dramma al femminile abbiamo incontrato gli attori Gabriella Pession e Adriano Giannini, la sceneggiatrice Barbara Di Girolamo e il produttore Roberto Di Girolamo.

Il film racconta di queste giovani donne condannate a morte anche se innocenti. Come sono possibili cose del genere? La lotta degli innocenti non è forse sempre giusta?

Barbara Di Girolamo: Queste donne erano innocenti e il processo che le ha condannate una farsa, anche perché erano accusate di fatti avvenuti all'esterno nel periodo in cui erano rinchiuse in carcere. Erano ragazze semplici, che durante la guerra facevano solo assistenzialismo, ma c'era bisogno di trovare dei colpevoli e il potere ha strocato delle persone per qualcosa riguardo cui erano completamente estranee.

Gabriella Pession: Queste donne non erano mosse da un ideale politico, ma si limitavano ad aiutare gli anziani e i bambini perché credevano in certi valori. Non era nel loro intento avere un'ideologia politica. Adelina, il personaggio che interpreto, era una ragazza cresciuta nella caserma dove lavorava il padre, un luogo claustrofobico e rigido, ma non si interessava di politica. Erano donne che accudivano gli altri, che cercavano di fare del bene, aiutando persone che avevano di meno, come i bambini orfani. Purtroppo per loro, sono vissute in un periodo dove regnava il maschilismo che le zittiva e le relegava in un angolo, senza dar loro la possibilità di esprimersi.

Qual è la necessità di un film come Le tredici rose oggi?

Barbara Di Girolamo: E' un film per non dimenticare, per riportare a galla una storia che ha segnato un periodo. Non ci interessava però concentrarci sugli aspetti storici del caso, ma volevamo raccontare la vicenda di tredici giovani ragazze, di tredici vittime innocenti.

Gabriella Pession: In molti in Spagna hanno cercato di insabbiare questa storia e quando il libro di Carlos Fonseca ha rispolverato la vicenda, sono state numerose le polemiche, perché non si voleva ricordare questa cosa così aberrante e allucinante fatta a tredici bambine. Nel passato si è cercato di far finta che non fosse mai accaduta. In Spagna c'è chi sostiene che il regime di Franco non abbia fatto cose così atroci e chi invece sostiene il contrario. Il motivo per cui vengono fatti film come questo è proprio per non dimenticare.

Roberto Di Girolamo: Dopo il tempo di Franco, c'è stato in Spagna un periodo in cui si voleva dimenticare quello che era successo. Per salvare dall'oblio certe atrocità, giornalisti e scrittori hanno cominciato a raccontare ciò che era accaduto. Quando ho letto il libro di Fonseca mi sono subito innamorato della storia e con il co-produttore spagnolo abbiamo subito pensato di farne un film. In poco tempo è nata una sceneggiatura di cui eravamo davvero entusiasti. Abbiamo avuto però numerose difficoltà nel realizzare questo film, sia perché richiedeva un budget piuttosto elevato per essere un'opera europea, sia perché c'erano forti dubbi in Spagna riguardo alla voglia di sentir parlare di queste cose. Il pubblico però ha dato ragione alla produzione e un milione e mezzo di spettatori hanno riempito le sale per vederlo. Il successo de Le tredici rose è stato poi confermato dalle quattordici nomination ai premi Goya.

Le scene ambientate in carcere risultano estremamente realistiche grazie alla loro ricchezza di sentimenti. Come sono state concepite?

Barbara Di Girolamo: Emilio Martínez Lázaro, il regista del film, ha avuto modo di incontrare Carmen, l'unica sopravvissuta delle tredici rose. Questo incontro è stato per lui fondamentale, perché in questo modo è riuscito a capire il sentimento, il colore, l'atmosfera, il dolore e l'emozione che hanno permeato il periodo di detenzione di queste ragazze. Se è riuscito a restituire così bene i momenti drammatici, ma anche quelli allegri, che queste giovani hanno vissuto in carcere, è stato soprattutto grazie a questo incontro.

Gabriella Pession, com'è avvenuto il suo coinvolgimento in questo progetto?

Gabriella Pession: Mi avevano comunicato che il regista Emilio Martínez Lázaro stava preparando un film drammatico su questa storia. Il progetto mi sembrava interessante e il mio agente ha voluto inviargli da vedere L'uomo perfetto, una commedia romantica che ho interpretato insieme a Riccardo Scamarcio. Sono stata presa subito, senza nemmeno dover sostenere un provino, e il motivo me l'ha poi spiegato lo stesso regista quando l'ho incontrato. Mi ha detto: 'Leggi pure il libro, perché è interessante, ma tu sei un sole e voglio che entri in questo carcere mantenendo sempre il sorriso, la dolcezza e la grande vitalità che ti contraddistingue'. All'inizio ero terrorizzata dallo spagnolo, poi ho cercato di leggere il libro in lingua originale, per studiare il castigliano, e mi sono preparata con una coach bravissima. Essendo poi una gran chiacchierona, mi sono state molto utili le lunghe conversazioni avute con le mie colleghe e il resto poi è venuto con estrema naturalezza.

Nessuna difficoltà quindi nel recitare questo ruolo?

Gabriella Pession: Personalmente amo molto leggere il copione, interiorizzarlo e imparare le battute, ma poi avere lo spazio per improvvisare, per lasciarmi andare all'estemporaneità. Per questo film non è stato possibile: ho saputo che avrei partecipato al progetto a fine luglio e il 5 agosto ero già sul set. Non essendo pratica di spagnolo, per me improvvisare era praticamente impossibile. Il mio personaggio rispetto alle altre protagoniste è un po' differente, è una sorta di bambina nel paese dei balocchi che non si rende bene conto cosa gli capiti intorno. Il regista mi ha detto di interpretarla "come un neonato che si sveglia" e io ho cercato di restituire quest'innocenza.

Adriano Giannini, come si è preparato a un ruolo così difficile come quello del terribile capitano Fontenla?

Adriano Giannini: Per questo personaggio non mi interesava approfondire quel periodo storico, ma trovare un'ambiguità che lo caratterizzasse e che abbiamo individuato nell'erotismo, nella sessualità perversa. Ho lavorato con il regista in modo molto semplice per creare questa ambiguità che doveva venire per sottrazione. Lui mi diceva che avevo gli occhi buoni e perciò il mio personaggio rischiava di diventare una macchietta. Alla fine prendere uno come me però si è rivelata una scelta giusta perché sono riuscito a dare a creare con questo personaggio un conflitto e un ambiguità.

Barbara Di Girolamo: Il suo personaggio in sceneggiatura era decisamente peggiore, ma Adriano è riuscito a togliergli tutta quella retorica che rischiava di abbassare il tono delle scene.

Nel film si nota una certa differenza tra la recitazione degli attori spagnoli e quella degli italiani. All'estero sono più preparati?

Adriano Giannini: Gli attori in Europa sono quasi sempre più preparati dei nostri, perché hanno fatto scuole più lunghe e dure. Tutta la troupe era comunque molto preparata ed è riuscita a rendere un lavoro come questo, che dal punto di vista recitativo non è affatto semplice, piuttosto agevole. La cosa incredibile era che, nonostante l'impostazione scenica fosse molto complessa per l'attore, quella troupe e quel cast rendeva tutto più facile, mentre mi è capitato di prendere parte a film, magari girati con macchina a mano, dove era tutto più complicato.

Perché il film esce in Italia due anni dopo la sua realizzazione?

Roberto Di Girolamo: Ci sono voluti tre anni di lavorazione per completare il film. All'inizio doveva uscire in Spagna con la Sony che all'ultimo momento si è tirata indietro perché non sembrava sentire il calore del film. Le tredici rose è poi uscito con una società di distribuzione iberica e ha avuto un grande successo di pubblico, soprattutto tra i giovani. Siamo stati attenti a non presentarlo subito in Italia forse per il troppo amore, perché avevamo paura di bruciarlo senza che gli venisse concessa l'adeguata attenzione. Avevamo pensato in un primo momento di farlo uscire nei primi giorni di settembre dello scorso anno, poi ci siamo accorsi che c'erano già troppi film italiani che si sovrapponevano in quel periodo e abbiamo scelto di aspettare. Abbiamo poi incontrato un ottimo distributore nella Bolero Film che crede molto in quest'opera e ci ha dato tutto l'appoggio possibile. Il film uscirà il 28 agosto, tutto sommato una buona data per la distribuzione, ma già da ora è partita la campagna pubblicitaria, anche perché in questi mesi non ci sono le grandi trasmissioni televisive che possano parlarne.