Recensione New York Taxi (2004)

Remake del divertente film di Luc Besson, questo New York Taxi made in USA non sa decidere se essere più una commedia o un film d'azione, finendo per perdere entrambe le strade.

Fuori servizio

Washburn è un imbranatissimo poliziotto occupato in operazioni sotto copertura, totalmente inetto al volante. Sulle tracce di una pericolosa banda di rapinatrici incontra Belle, una tassista che alla guida della sua auto truccata, sfreccia per le strade di New York inseguendo il suo sogno del cassetto di diventare un pilota di automobili. La strana coppia entra in azione in maniera rocambolesca e se all'inizio tutto sembra andare storto, alla fine l'ingenua bontà di lui e l'abilità e l'astuzia di lei avranno la meglio sul crimine e sui piccoli grandi problemi delle loro vite quotidiane.

Basato sul divertente Taxi di Luc Besson questo remake made in USA diretto da Tim Story non ne è in realtà che un pallido epigono. La scelta di mettere una donna al volante non va oltre un debolissimo effetto comico legato al superamento del luogo comune che le vuole lente e pericolose alla guida. Una situazione ampiamente collaudata in mille action movie, quella della coppia mista, perde ogni interesse e ogni alchimia legata al rapporto tra due persone di sesso opposto nel momento in cui la donna è privata di ogni femminilità, dipinta come una virago svalvolata e incosciente ma che non manca di riservarsi sul più bello (nei momenti meno opportuni, quando l'azione dovrebbe farla da padrone) chili di sermoni e tonnellate di saggezza superflua.

La commedia è affidata ai meccanismi più rozzi e scontati che si possano immaginare: il fidanzato di lei, un nero enorme e muscoloso che, udite udite, in realtà è un romantico e mitissimo micione; la bombola di gas esilarante aperta immotivatamente che non serve ad altro che a provocare un'esplosione e a farci sbellicare dalle risate per le voci alterate dei due. La mamma di lui, patetica caricatura di una povera alcolizzata, un vero caso umano più che il personaggio di una commedia, che beve margaritas dal bicchierone del frullatore. Il poliziotto sempliciotto che si lascia gabbare dalle tette e dalla lingerie delle quattro modelle brasiliane.

I due subplot sentimentali, quello tra Washburn e il suo capo (la sua ex partner, ora brillante ufficiale di polizia) e quello di Belle e l'inutile gigante buono, sono appena accennati, ma la piattezza dei dialoghi sicuramente non suscita alcun rimpianto in tal senso.

La componente d'azione è, se possibile, ancora più povera: interminabili inseguimenti computerizzati, ripresi da una macchina da presa scomposta e frenetica, che cominciano nel nulla e al nulla portano; unico legame tra i protagonisti e gli antagonisti una suggerita opposizione tra l'avvenenza algida da passerella delle rapinatrici e la materna abbondanza di Queen Latifah. Nessuna tensione, nessuna rivalità (neanche "sportiva"), nessun dualismo.

La regia di Tim Story non va al di là di uno sterile inventario di blue screen e gru robotizzate, non riuscendo a portare neanche uno sprazzo di vita in una sceneggiatura sì del tutto esangue e sprecando la carta di un cast decoroso (Jimmy Fallon è un'affermata star comica della TV, la madre di Wahsburn è interpretata dalla bravissima Ann Margret, Queen Latifah non ha bisogno di presentazioni e ha offerto in passato prove dignitose d'attrice) e di sicuro richiamo.