Fringe: al traguardo dei 100 episodi dopo cinque anni in bilico

Con una stagione finale coraggiosamente diversa, la serie creata da J.J. Abrams saluta i suoi spettatori dopo cinque anni sempre a rischio, a dispetto di una qualità a tratti elevata.

Ci sono serie che nascono e vivono sotto i migliori auspici, osannate e sostenute sempre e comunque, seguite con maniacale attenzione o totale partecipazione emotiva. Altre invece vengono bollate quasi subito, abbandonate, confinate in un angolo del piccolo schermo dove vivacchiano sempre sull'orlo della cancellazione.
E' questo secondo il caso di Fringe, attesa serie sci-fi firmata J.J. Abrams che pur al suo debutto nel 2009 aveva mantenuto una buona media di dieci milioni di spettatori per tutta la sua prima stagione. Una partenza lanciata che non ha retto la prova della lunga distanza: già dopo la premiere della stagione successiva, gli spettatori erano praticamente dimezzati, costringendo la Fox e gli autori a riflessioni e decisioni continue, fino all'episodio finale andato in onda lo scorso gennaio in USA (in Italia il 12 Maggio 2013 su Premium Action).

E non dipende dalla qualità, non solo da quella almeno. Perchè quella, sia in termini di scrittura che di interpretazione e messa in scena, è sempre stata elevata. Qual era allora il problema? La struttura altamente episodica dello show, che aveva sporadica continuità orizzontale - per richiesta dello stesso network - ed un'impostazione da classico Monster of the Week, aveva iniziato a stancare già da un po' ed i correttivi in tal senso sono arrivati troppo tardi: se l'episodio 2x15, Jacksonville, dà il via ad una struttura narrativa più solida, dando maggior risalto alla mitologia dello show, ciò avviene quando è ormai troppo tardi, quando parte del pubblico è ormai migrato verso altri lidi televisivi.
Quelli che sono rimasti hanno subito l'inevitabile pathos che ha accompagnato ogni rinnovo della serie, fino all'ultimo per una quinta stagione ridotta: costantemente sull'orlo della cancellazione, Fringe ha sempre creato problemi decisionali alla Fox, che, conscia del valore del prodotto e dei sempre positivi dati di ascolto nei sette giorni successivi alla messa in onda, si è limitata al solo spostamento nella serata del venerdì, per la quale i tre milioni scarsi di spettatori delle ultime stagioni erano più che sufficienti.
Ma quelli che sono rimasti fedeli hanno potuto anche godere di una serie emozionante, intrigante e creativa, capace di creare tensione e suscitare riflessioni, che si è concessa il lusso di dedicare ogni anno (il celeberrimo episodio 19 di ogni stagione) uno spazio alla sperimentazione, dal musical all'animazione al salto temporale.
Proprio quest'ultimo è stato lo spunto che ha funzionato da premessa per l'ultima stagione, ambientata nel 2036 in un mondo ormai governato dagli Osservatori in cui un manipolo di ribelli cerca di tener testa ai pelati invasori dal futuro. Ribelli ai quali si alleano ovviamente gli eroi dello show: Peter (Joshua Jackson), Olivia (Anna Torv) e Walter (John Noble), accanto alla giovane Etta, già vista per la prima volta proprio nell'episodio Lettere di transito, il diciannovesimo della stagione 4.
Tredici episodi caratterizzati da grande continuità, in cui i protagonisti devono dar la caccia a delle VHS in cui un tormentato e confuso Walter ha registrato indicazioni per ricostruire il suo stesso piano per poter sconfiggere gli invasori e riprendere il controllo. Tredici episodi di buona fattura, ma non esenti da difetti: troppo schematici nella prima metà di stagione, di gran lunga più coinvolgenti nella seconda, ma soprattutto afflitti da un problema ricorrente quando si ha a che fare con i viaggi nel tempo, ovvero quello dei paradossi, di cui il finale non è privo.
Tredici episodi che hanno consentito alla serie di raggiungere l'importante traguardo dei 100 totali, un lungo cammino caratterizzato da puntate di qualità eccelsa, qualche inevitabile calo e, va detto, almeno un paio di passi falsi: pensiamo all'agente FBI introdotta ad inizio stagione 2 e poi lasciata cadere nel dimenticatoio; e soprattutto alla frettolosa scelta della cancellazione di Peter nel finale della terza stagione, una scelta di cui gli stessi autori si sono pentiti e che ha creato non pochi problemi all'inizio della successiva, il momento più confuso e meno riuscito dell'intera serie.
100 episodi animati da scelte coraggiose, una mitologia complessa ma sempre comprensibile, la geniale trovata degli universi paralleli e la capacità di recuperare dettagli di episodi precedenti in scelte posteriori, dando una sensazione di compattezza ed organicità, anche a idee introdotte in momenti successivi della serie (su tutte l'uso dell'ambra per confinare i danni subiti dal secondo universo). 100 episodi in cui la serie ammicca ovviamente ad X-Files, ma senza trascurare riferimenti a show come Alias, fino ad una ultima stagione che cambia totalmente le carte in tavola. Di fatto la stagione 5 di Fringe è l'unica di una nuova serie, una serie diversa da quella che il suo pubblico aveva imparato ad amare.
L'effetto è straniante, ma meritevole di plauso. Se non altro per aver provato ancora una volta a stupire ed a creare qualcosa di nuovo e diverso, a cambiare per dare nuova linfa vitale ad una serie già in dirittura d'arrivo.