Francesco Laudadio su 'Signora'

Un incontro breve, quello che ha seguito la proiezione stampa di "Signora", in cui il regista Francesco Laudadio ha cercato di spiegare ai giornalisti presenti la scelta di adottare un tono grottesco per la sua pellicola.

Un incontro breve, quello che ha seguito la proiezione stampa di Signora, in cui il regista Francesco Laudadio ha cercato di spiegare ai giornalisti presenti la scelta di adottare un tono grottesco per la sua pellicola: una "scelta" (vera o presunta) che ha lasciato comunque perplessi molti di coloro che hanno assistito alla proiezione del film.
Seguiamo comunque i passaggi fondamentali dell'incontro.

Il film termina con una specie di citazione da La villeggiatura di Marco Leto, riproposta però in un contesto più rassicurante. Questo aspetto sdrammatizzante era nelle sue intenzioni fin dall'inizio? Il film, tra l'altro, sembra dare ragione alle dichiarazioni in cui Berlusconi parlò del fascismo come di un regime che mandava gli oppositori "in vacanza".

Il film di Leto innanzitutto aveva un soggetto molto drammatico, e inoltre aveva dietro un problema di rapporti familiari, visto che il padre del regista era capo della polizia politica. Nel mio film appare una "convergenza" con le dichiarazioni di Berlusconi soprattutto a causa del paesaggio idilliaco dell'ultima scena, ed è un fattore di cui ci siamo accorti solo durante le riprese. Non mi pare, però, che il film metta in discussione la dimensione repressiva del confino; da parte mia non c'era nessuna intenzione di questo genere.

Come le è venuta l'idea del film?

L'idea è nata rielaborando un fatto di vita vissuta, ovvero le disavventure di un mio amico, leader del movimento studentesco degli anni '70, che aveva avuto una travolgente storia d'amore con una signora sposata. Questa donna lo fece mettere sotto controllo da un investigatore privato, che, oltre a rivelarle suoi i tradimenti, di sua iniziativa passò alla polizia di Bari gran parte della sua corrispondenza, che rivelava contatti con le nascenti BR. I brigatisti all'epoca puntavano sul mio amico per una forte presenza in Puglia, lui era contrario al terrorismo ma passò lo stesso un grosso guaio. Rielaborando il tutto, e trasportandolo in un periodo diverso, è venuto fuori questo film, che si regge sull'idea di base che una relazione possa costare la galera ad una persona.

Perché ha deciso di spostare il periodo?

Beh, il mio amico passò dei guai ma non finì certo in galera, alla fine tutto si sgonfiò. Narrativamente non avrebbe reso. L'idea, invece, di una donna gelosa che si innamora di un cospiratore antifascista durante il regime, e finisce per mandarlo in galera a causa della sua gelosia, era decisamente più funzionale.

Perché ha voluto una protagonista così sconcertantemente oca, così imbarazzante?

Perché lei è superba. Se avesse avuto già la consapevolezza di ciò che le stava intorno, dell'ingiustizia sociale, delle nequizie del regime, la "presa di coscienza" alla base del film non avrebbe funzionato. Lei è una ricca signora proveniente dall'America, che ha sposato un uomo ricco e automaticamente è entrata a far parte dell'altissima borghesia romana; improvvisamente questa donna conosce e si innamora di un uomo che è tutto il contrario, che parla di argomenti e di realtà a cui lei non ha mai prestato attenzione. La sua è quindi una presa di posizione lenta, graduale; alla fine, comunque, si fa condannare per amore, non per ragioni politiche.

Il film ha un tono un po' grottesco, specie nei dialoghi. E' una cosa voluta o no?

Questa non è una domanda, è un'accusa. Io spero che qualcuno abbia riso durante il film. Si tratta di una commedia, quelli che a voi sono sembrati toni grotteschi sono in realtà il frutto di una deliberata ricerca della comicità. Voglio ricordare che uno dei film più violenti contro il nazismo è anche una delle dieci commedie più belle di tutti i tempi, Vogliamo vivere! di Ernst Lubitsch. Il mio maestro è Mario Monicelli, che ne La grande guerra insegna come anche un massacro come la prima guerra mondiale possa essere raccontato con toni decisamente comici. E' quella la tradizione a cui io mi rifaccio, che è poi la stessa di Tutti a casa di Luigi Comencini. Da sempre, nel cinema italiano, ci si accosta a temi drammatici usando anche l'arma del grottesco e della satira.

Il film somiglia un po' a una fiction televisiva, magari diviso in due puntate poteva funzionare come sceneggiato.

Secondo lei questo film ha i ritmi della fiction? La differenza tra il cinema e la fiction è che sostanzialmente, nella seconda, lo spettatore può alzarsi per andare a fare pipì, tornare e non perdersi granché. In questo film una cosa del genere non sarebbe possibile, perché ha dei ritmi velocissimi.

Nel film c'è una gag, quella della scritta sull'obelisco, che ricorda un'analoga sequenza di Brian di Nazareth dei Monty Python. Si tratta di una citazione?

Quel film l'ho visto e mi ha divertito moltissimo, ma non ci ho mai pensato mentre giravo. Chissà, magari è stata una cosa inconscia.