Forse, Italia!

Le ferventi aspettative per il cinema italiano a Venezia, fomentate dalla selezione fortemente nostrana dei film festivalieri e dal successo di Gomorra e Il divo al festival di Cannes, sono state prima profondamente deluse e poi riacciuffate per i capelli.

Le proiezioni dei primi due film italiani in lizza per il Leone d'oro non hanno certo fatto gridare al capolavoro, semmai tutto il contrario, soprattutto per Un giorno perfetto di Ferzan Ozpetek, accolto con un amareggiato coro di fischi. Le critiche contro il regista italo-turco e il suo violento quanto pomposo drammone familiare sono state talmente velenose da rendere molto più indulgenti i giudizi sul secondo lungometraggio made in Italy, Il papà di Giovanna di Pupi Avati.
Entrambe due storie sofferte, racconti stridenti di rapporti familiari difficili, vicende di forte impatto emotivo, macchiate dal sangue e da tanti difetti di messa in scena. I due registi hanno regalato all'Italia due finali tragici e un inizio di concorso altrettanto difficile.

Sbarcato al Lido con tutta la ciurma al completo (Valerio Mastrandrea, Isabella Ferrari, Stefania Sandrelli, Monica Guerritore, Nicole Grimaudo e Federico Costantini), Ozpetek ho lasciato senza parole al di là di un lungo e accalorato "booh" a fine proiezione. Le

interpretazioni di altissimo livello dei due protagonisti non sono bastate a sorreggere un film colmo di viscerale passionalità ma purtroppo privo di un senso logico complessivo che abbia saputo giustificare la presenza di personaggi e storie del tutto slegati e faziosamente melodrammatici. Lo sguardo triste e disilluso del pubblico dopo Un giorno perfetto ha però aiutato ad accogliere il film di Avati: aspettando in fila di entrare in sala si vociferava con sarcastico entusiasmo "Non può certo essere peggio di Ozpetek!". Lo scroscio di applausi durante i titoli di coda è sembrato molto più il frutto di un impulso liberatorio che di un cosciente e razionale apprezzamento. Resta il fatto che Il papà di Giovanna riesce davvero a commuovere, non solo grazie al disprezzo per il film italiano che lo ha preceduto, ma per merito di attori eccezionali come Silvio Orlando e la giovane Alba Rohrwacher. Solo per essere riuscito a rendere credibili in ruoli drammatici Ezio Greggio e Serena Grandi, Avati dovrebbe ricevere un Leone per le sfide impossibili.

Un sali-scendi emozionale percuote gli animi speranzosi di coloro che attendono una rinascita del cinema italiano. Non resta che farsi coraggio e affrontare le prossime proiezioni attese al festival, La terra degli uomini rossi - Birdwatchers di Marco Bechis e Il seme della discordia di Pappi Corsicato - armati di buoni propositi critici e scevri di quei pregiudizi pessimistici che continuano ad essere generosamente sfamati dai tanti italianissimi flop d'autore.