Forse Dio è malato: parlare d'Africa in campagna elettorale

Franco Brogi Taviani cerca di promuovere il suo straordinario documentario in un clima politicamente sfavorevole.

L'Italia è anche e soprattutto questo. Neanche un argomento scottante e doloroso come le condizioni disumane in cui versa il continente africano, riescono a distogliere l'attenzione di media e politici dalla campagna elettorale. Parliamo di uno straordinario docu-film dal titolo Forse Dio è malato, liberamente tratto dall'omonimo libro del candidato premier del PD Walter Veltroni, che ha la sfortuna di uscire in un momento politicamente sbagliato in cui regna sovrana la par-condicio anche di fronte a milioni di persone che muoiono di AIDS, che si nutrono dei nostri rifiuti, a bambini violentati e maltrattati vittime di superstizioni e di assurdi rituali anti-stregoneria, a realtà agghiaccianti che distano solo poche centinaia di kilometri da noi. Il film, che ripercorre le tappe più tragiche del viaggio nell'Africa Sub-Sahariana fatto da Veltroni nel 2003, è stato presentato con una conferenza stampa alla Casa del Cinema di Roma, durante la quale i giornalisti hanno raccolto l'accorato grido d'allarme lanciato dal regista Franco Brogi Taviani (fratello minore di Paolo e Vittorio) e dalla produttrice del film Grazia Volpi. La denuncia ha riguardato il rifiuto arrivato da alcune emittenti e da alcuni programmi televisivi di parlare del film per via del fervente momento politico del nostro Paese.
Quando si decise di iniziare a girare il film e di distribuirlo a fine febbraio 2008, il Partito Democratico non esisteva ancora e Veltroni era 'solamente' il sindaco di Roma, un uomo impegnato anima e cuore nella causa pro-Africa. Poi la caduta del Governo e la proclamazione di elezioni anticipate, eventi che, a sentire il regista, hanno seriamente compromesso la divulgazione dell'opera. Un'aggravante che mette ancor più in luce il già difficile momento in cui versa il cinema italiano d'autore, denunciata dall'Amministratore Delegato dell'Istituto Luce Luciano Sovena che ha sparato a zero sui media che, quando si tratta di dare spazio a Moccia, Muccino e polpettoni natalizi vari, non esita neanche un minuto.

Signor Taviani, ci può spiegare meglio a che tipo di censura si riferisce?

Franco Brogi Taviani: Potrei spiegarvelo con una battuta di spirito, diciamo che per avere accesso a programmi televisivi e telegiornali per promuovere il film forse avrei dovuto fare anche un documentario su Berlusconi e presentarli insieme.

Esattamente, quali emittenti televisive si sono rifiutate di parlare del film?

Franco Brogi Taviani: Un po' tutte, si tratta in particolare di rifiuti arrivati per le cosiddette 'ospitate televisive' in alcune trasmissioni del palinsesto mattutino. Il motivo ufficiale addotto è stato quello di doversi attenere rigidamente alle regole della par condicio, trattandosi di un film tratto da un libro scritto dal candidato premier del Partito Democratico.

Cosa l'ha colpita di più del libro di Veltroni?

Franco Brogi Taviani: Quando mi proposero di farne un film volevo rifiutare, non mi sentivo all'altezza di un compito tanto importante. Poi l'ho letto attentamente ed una frase mi ha colpito: 'L'obiettivo di chi vive in Africa non è la felicità, ma la sopravvivenza. E' una guerra che l'Africa rischia di perdere per sempre'. Poco dopo sono partite le riprese.

Non ha avuto paura di cadere nella trappola del buonismo e dello stereotipo?

Franco Brogi Taviani: Il libro di Veltroni mi ha talmente coinvolto che non ho neanche pensato a questo aspetto. Mi ha colpito la passione delle sue parole, un sentimento mai indulgente e mai buonista, che scuote nel profondo e richiama all'attenzione su un problema che è vicino a tutti noi. Molto più vicino di quanto pensiamo.

Forse si riferisce alle scene girate nella discarica in cui un bambino gioca, lavora e mangia nell'immondizia...

Franco Brogi Taviani: Esattamente, la realtà della discarica di Maputo, in Mozambico, non è poi troppo distante da quella che la regione Campania sta vivendo in questo periodo. Questo dovrebbe farci riflettere e dovrebbe scuotere le nostre coscienze, ma evidentemente non sono temi considerati troppo importanti.

Cosa ricorda con più trasporto della sua esperienza africana?

Franco Brogi Taviani: Questo film è la trasposizione cinematografica dell'esperienza più forte della mia vita, un viaggio che mi ha coinvolto nel profondo e che mi ha letteralmente traumatizzato. E quando si aprono certe ferite e si vede il male del mondo così da vicino, è difficile tornare a vedere la vita con gli stessi occhi di prima.

Perché la scelta di proiettare Miracolo a Milano in un villaggio africano?

Franco Brogi Taviani: E' stata una mia scelta, avevo pensato inizialmente a Il Padrino ma poi ho optato per un film dal significato diverso, che avesse un legame più profondo con il mondo africano. Nessuna di quelle persone aveva mai visto un film su grande schermo e volevo che vedessero dei bianchi vivere un po' come loro. Nel finale, quando a bordo di scope magiche volano via, ho visto negli occhi di quei ragazzini la stessa voglia, la speranza che un giorno potessero anche loro volare via.

Immaginiamo le enormi difficoltà logistiche di girare in certe zone...

Franco Brogi Taviani: Ci si adatta a tutto, persino alla guerra, quindi alla fine ce l'abbiamo fatta. Certo, non senza difficoltà. Abbiamo subito scippi, minacce, furti di attrezzature, abbiamo soggiornato in condizioni precarie, ma ne è valsa la pena.

Qual è la sua speranza in merito al film?

Franco Brogi Taviani: Vorrei che l'Africa che ho visto coi miei occhi, quella sull'orlo di una catastrofe senza precedenti, e che le voci di questa gente così disastrata riuscissero a smuovere le coscienze di chi ha in mano il potere. In un mondo globalizzato come quello che stiamo vivendo, flagellato dall'immigrazione clandestina e dalle malattie, questo non è più un problema solo degli africani, ma anche nostro.

E la speranza di chi un film così ha scelto di distribuirlo?

Luciano Sovena: E' una triste realtà quella che stiamo vivendo. Purtroppo lo spazio che rimane al cinema d'autore nel nostro paese è questo. Toccherà alle mogli bellissime, ai vari natali in crociera e ai film di Moccia risollevare le sorti del cinema italiano.

Costato 700mila euro il film, a metà tra documentario e lungometraggio di fiction, ha potuto contare sul sostegno del Ministero degli Affari Esteri e di numerose organizzazioni non governative. Uscirà in Italia distribuito dall'Istituto Luce il 29 febbraio, inizialmente in 6 copie che porteranno Forse Dio è malato a Roma, Bologna, Napoli, Milano, Torino e Firenze, accompagnato dai suoi realizzatori che in ognuna di queste città saranno a disposizione per un incontro con il pubblico.