Recensione Io sono l'amore (2009)

Tilda Swinton, interprete e produttrice di 'Io sono l'amore', è il corpo e l'anima di un progetto concepito da Luca Guadagnino espressamente per lei.

For Tilda

Una Milano algida e innevata, e una famiglia altoborghese, in cui una cena fastosa marca il passaggio di consegne tra il patriarca e i suoi eredi: è in questo scenario che un incontro fortuito cambia la vita di Emma, elegante e gentile madre di famiglia di origine russa, una trophy wife che scopre all'improvviso l'amore autentico in un uomo molto più giovane, amico "proletario" del suo primogenito. La passione esplode per gradi, e la donna cerca di combatterla per poi arrendervisi nella maniera più completa, fino a dimenticare ogni altro vincolo anche quando la famiglia viene colpita dalla tragedia.

Tilda Swinton, interprete e produttrice di Io sono l'amore, è il corpo e l'anima di un progetto concepito da Luca Guadagnino espressamente per lei. E se c'è un'attrice di cui non vorremmo mai dover dire male, perché dotata di immenso talento, di personalità, coraggio e indipendenza, questa attrice è proprio la Swinton; e c'è anche da dire che fa piacere vederla in un ruolo che la induce a capitalizzare sulla sua anticonvenzionale ma notevole bellezza. Resta il fatto che non sembra a suo agio nel recitare in una lingua che non le appartiene, sfoggiando per di più un accento slavo, peraltro anche credibile. Quando non parla, però, è la Tilda che tutti conosciamo, e per ampie sequenze la sua presenza, sottolineata dalle belle (sebbene sovrautilizzate) musiche di John Adams, qui al suo primo lavoro come compositore per il cinema, ci fa dimenticare la pochezza di una sceneggiatura che è difficile credere abbia impegnato ben quattro autori e la generale mancanza di naturalezza ed efficacia cinematografica nella recitazione e nella messa in scena.

E' però doveroso non chiudere gli occhi sul resto e quindi sulle pecche macroscopiche di un film che prende le mosse da uno spunto stantio e banale e ne affida lo sviluppo ad una sola attrice che, per quanto magnifica, non può riuscire nel miracolo di far spiccare il volo a una pellicola tanto sterile. Particolarmente imbarazzanti sono i duetti della Swinton con Marisa Berenson, che davvero non rendono giustizia alla statura delle due interpreti; le cose migliorano molto quando entra in scena la grazia adorabile di Alba Rohrwacher: più della Swinton, che evidentemente nella sua ansia di correre rischi incappa troppo spesso in mezzi passi falsi, vogliamo applaudire lei, non più una promessa, ma una consolante e luminosa certezza.

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2.0/5