Recensione C'è chi dice no (2010)

In C'è chi dice no si prende di petto un male atavico e apparentemente immodificabile della società italiana, come quello delle raccomandazioni: il film di Giambattista Avellino lo fa con l'arma della commedia, strappando risate che, come da tradizione del nostro cinema, sono risate amare.

Fine precarietà: mai

Max, Irma e Samuele: tre ex compagni di scuola, tre percorsi diversi tra loro ma accomunati da una precarietà che, da condizione lavorativa (con)temporanea si fa sempre più realtà esistenziale permanente. Il primo è un giornalista di un quotidiano locale, che arrotonda le entrate scrivendo per le più dozzinali riviste di settore; la seconda, un medico che lavora in ospedale e sopravvive grazie alle borse di studio; il terzo, un ricercatore universitario in diritto penale che da anni fa da assistente a uno dei tanti baroni che popolano la galassia accademica italiana. Tutti e tre stanno per ottenere l'occasione della loro vita: il miraggio dell'assunzione e della fine della precarietà non è mai stato così vicino, tanto da pensare che, forse, tanti anni di studi e specializzazioni prima, e di rospi amaramente ingoiati sul lavoro poi, non siano stati così vani. Pia illusione: il male italico per eccellenza, quello delle raccomandazioni, si incarica presto di rimettere le cose al loro posto, ovviamente quello sbagliato. Reincontratisi in una rimpatriata studentesca, e nauseati da ex compagni arrivati e (molto) arrivisti, i tre decidono così di passare all'azione: perché non ripagare coloro che hanno usurpato i loro posti con la stessa moneta? I "Pirati del merito" si incaricheranno di far passare l'inferno a coloro che, senza colpo ferire, hanno distrutto le speranze di chi ha ingenuamente creduto che i più meritevoli dovessero essere premiati. Ma, presto, i tre amici si renderanno conto che un'iniziativa come questa comporta non solo dei rischi, ma anche uno scontro con il "piccolo raccomandato" che è dentro ognuno di noi...


Se la commedia, in Italia, è un genere che non ha mai smesso di attirare il pubblico nelle sale, forte di una tradizione che appartiene al DNA del nostro cinema, negli ultimi anni si è assistito a un nuovo interesse per i temi sociali inseriti in prodotti destinati al grande pubblico. Se in Benvenuti al sud si affrontava lo spinoso tema della disparità tra le aree della nostra penisola, e in La vita facile si puntavano gli occhi sulle ripercussioni personali (e affettive) di realtà lavorative spesso torbide, in questo C'è chi dice no si prende di petto un male atavico e apparentemente immodificabile della società italiana, come quello delle raccomandazioni. Il titolo sembra una vera e propria dichiarazione di guerra al sistema, ma sono molto lontane le inquietudini che nei secondi anni '80 avevano animato l'omonima canzone di Vasco Rossi, anticipando la fine (apparente) di un sistema di potere: nella lotta dei tre protagonisti c'è un sottofondo di amarezza e disillusione, quasi che la testimonianza sia più importante di quel reale cambiamento a cui, in fondo, nessuno di loro crede. Sono in fondo egoiste, dettate dalla spietata necessità, le loro motivazioni iniziali: la solidarietà (di classe?) è un lusso che la cosiddetta "generazione 1000 euro" non può permettersi, frammentata e polverizzata com'è in precarie realtà autoreferenziali. Non a caso, tra i personaggi, è quello di Irma (interpretato da una brava Paola Cortellesi) il più coerentemente idealista, che tale resta dall'inizio alla fine del film, mentre il giornalista di Luca Argentero e il ricercatore universitario a cui dà il volto Paolo Ruffini vacillano entrambi, seppur per ragioni diverse e in diversi punti dello script.

Il film, per gran parte della sua durata, strappa risate convinte: ma, come da tradizione del nostro cinema, sono risate amare. Tirare in ballo per l'ennesima volta la commedia all'italiana e il cinema di maestri come Mario Monicelli e Dino Risi è operazione oziosa quanto, in fondo, inevitabile: ma la cattiveria di quel cinema è lontana, e lo sguardo di registi come Giambattista Avellino è al contempo più accomodante e più (ingenuamente?) speranzoso di un cambiamento pacifico dell'esistente. D'altronde, come lo stesso regista ha ricordato in conferenza stampa, i tempi sono mutati, e se nel tessuto sociale italiano ci sono oggi più disorientamento e disillusione, ben rappresentati anche dai personaggi del film, il cinema si incarica in parte di controbilanciare questi sentimenti: con una piccola porta aperta alla speranza che si prende anche il rischio (a nostro parere ben avvertibile) di legittimare in parte l'esistente. E' comunque vero che, se gli stereotipi si affacciano in più di una scena (i due studenti "spinellati" coinquilini del ricercatore, la ragazza raccomandata ultraricca e col poster di Che Guevara) e qualche situazione risulta eccessivamente prevedibile (la storia d'amore tra la suddetta ragazza e il personaggio di Argentero, annunciata sin dalla prima entrata in scena di lei), la regia riesce a creare, in modo molto abile, un coinvolgimento emotivo raro in prodotti di questo genere, con momenti topici come la dimostrazione finale ma anche con altri più intimi come lo svelamento, verso le ultime battute, della storia di un personaggio fino ad allora considerato secondario. Elementi che, insieme all'affiatamento dei tre protagonisti (a cui si aggiunge un gradito e gradevole cameo di Giorgio Albertazzi) fanno di C'è chi dice no un prodotto d'intrattenimento valido, che riesce anche a restituire e a fissare su pellicola un po' della nostra, sempre più sfuggente, realtà. Se non si chiede al cinema di cambiare il mondo (compito che peraltro non è mai stato il suo) si può essere soddisfatti.

Movieplayer.it

3.0/5