Farestwood e i blockbuster giapponesi

Aumentano i budget e gli incassi dunque, gli investimenti si impennano ma solo in direzione di sicure strade battute (salvo rare eccezioni); quest'anno mancavano quelle piccole perle che avevano conquistato i cuori di molti spettatori negli anni passati.

Fareastwood, ecco la parola d'ordine della nona edizione del Far East Film Festival. Fareastwood è, o dovrebbe essere, la folta foresta incontaminata del cinema orientale. Dovrebbe, perché se si parla di cinematografie pressoché sconosciute come quella tailandese o quella filippina il festival di Udine rappresenta sempre il paese dei balocchi e delle scoperte. Affacciandosi però alle vetrine (un po') più facilmente reperibili, quella giapponese in questo caso, non si può evitare di notare l'invasione di blockbuster e fumettoni che il festival ha proposto quest'anno. Che tale scelta sia o meno apprezzata va comunque reso merito al Far East di aver saputo tradurre, con le quattordici pellicole presenti nella sezione giapponese, un anno di cinema nipponico caratterizzato da grandi incassi ed un consenso di pubblico in patria che mancava da tempo. Apre la kermesse udinese proprio uno di questi successi, Dororo di Shiota Akihiko, trasposizione di un notissimo classico manga di Osamu Tezuka. Un esempio perfetto per definire le linee guida della rinnovata industria giapponese: budget altissimo rispetto alle medie nazionali, trama nota, due bei giovani protagonisti (Satoshi Tsumabuki e Kou Shibasaki), ed un maestro come l'hongkonghese Chin Siu-Tung chiamato a coreografare le scene d'azione. È evidente che l'attenzione è rivolta al giovane pubblico, e non solo a quello del Sol Levante; ai distributori stranieri potrebbe interessare - da noi è addirittura arrivato Shinobi, che era decisamente meno interessante.

Prosegue la carrellata di megasuccessi con il catastrofico Sinking Of Japan, che racconta un Giappone sconvolto dalle calamità naturali e il disperato tentativo del governo di salvare più vite possibili, e il drammone altrettanto catastrofico (alla Titanic questa volta) Umizaru 2: Test of trust che si è conquistato il primo posto al box-office nel 2006. Oltre a Dororo si contano nella selezione ben altri cinque lavori ispirati dall'universo dei manga; popolari quanto deludenti Arch Angels di Issei Oda, Sakuran della fotografa Mika Ninagawa e i due episodi di Death Note entrambi diretti lo scorso anno da Shusuke Kaneko. Fiasco inaspettato in patria invece per Nana 2, secondo episodio del live action sulla vita movimentata di due ragazze che condividono un appartamento nel cuore di Tokyo. Ma a questo insuccesso risponde l'entusiasmo del pubblico del Far East, foltissimo per la proiezione, complice forse anche la recente trasmissione dell'anime nelle televisioni nostrane.

Presenza evidentemente scialba, per non dire penosa, quella giapponese per l'Horror Day. Se si accosta alla qualità dei tailandesi un film comeThe Slit-Mouthed Woman, l'horror made in Japan ci fa una figura davvero pessima. In sala si rideva, ma forse solo perché la proiezione era gratuita. All'insegna della demenzialità, come The Glamorous Life of Sachiko Hanai nella scorsa edizione, anche il pinku di quest'anno Uncle's Paradise. L'unica vera conferma arriva con Memories of Matsuko con cui Tetsuya Nakashima riconquista il pubblico del Teatro Nuovo a due anni di distanza dalla presentazione di Kamikaze Girls. Insieme a Dororo è forse il solo successo condivisibile coi botteghini giapponesi.

Aumentano i budget e gli incassi dunque, gli investimenti si impennano ma solo in direzione di sicure strade battute (salvo rare eccezioni), così il cinema indipendente o le piccole produzioni è chiaro che ne risentono fagocitate dal panorama mainstream. Se quindi si vuole muovere un appunto a questa edizione almeno per quel che riguarda la sezione giapponese, evitando ovviamente sterili polemiche verso un festival che ogni anno è una rinnovata e positivissima boccata d'aria fresca, è che mancavano proprio quelle piccole perle che avevano conquistato i cuori di molti spettatori negli anni passati. Lavori che permettano al pubblico occidentale di scoprire giovani cineasti come Nobuhiro Yamashita per esempio, regista di Linda Linda Linda (quest'anno ce n'era forse un surrogato in Hula Girls) e più film altrimenti irrecuperabili.