Far East 2009: le signore in giallo

Giornata interamente dedicata all'universo femminile in tutte le sue sfumature, passando dal dramma di impegno sociale, alla commedia romantica, al cinema d'arti marziali.

Giornata tutta al femminile, quella del 25 aprile al Far East. La "liberazione", viene da dire, passa anche da qui. E se il cinema è sempre stato un buon termometro per misurare i mutamenti di una società e di una cultura, possiamo dire di certo che nel continente asiatico si notano interessanti segnali di cambiamento sul fronte della partecipazione femminile. Certo, poi ogni paese declina il tema in base alle proprie tradizioni e alla propria industria cinematografica, e dunque l'attenzione nei confronti della donna si esprime in mille differenti sfumature.

La nascente cinematografia indonesiana, ad esempio, sceglie la strada del rigoroso impegno sociale con il film a episodi Chants of lotus. Ciascuno dei quattro segmenti è affidato a una regista donna, ciascuna delle quali affronta alcuni dei temi più controversi legati alla discriminazione e all'emarginazione femminile: aborto, stupro, sesso giovanile, tratta delle bambine e AIDS. Nonostante la qualità dei singoli contributi sia altalenante (a livello stilistico spicca il primo episodio di Fatimah T. Rony ambientato su un'isola in cui una donna è ostracizzata perché pratica l'aborto), il film colpisce soprattutto per il modo crudo e diretto della rappresentazione, e non c'è da stupirsi che in un Paese dalle forti tendenze fondamentaliste come quello indonesiano sia stato censurato.

Ma è possibile riuscire a fare un discorso sulla lotta tra i sessi anche attraverso le armi della spensieratezza e del brio. È quello che fa il maestro Tsui Hark con All About Women, commedia effervescente ricca di trovate visive incentrata su tre personaggi femminili che incarnano tre modi diversi di opporsi al potere mascolino. Il regista, formatosi nella New Wave, non rinuncia ancora oggi a elaborare soluzioni sperimentali e innovative, e utilizza le nuove possibilità offerte dalla tecnologia digitale per elaborare una propria visione del cinema come territorio dell'immaginazione e del sogno.

In attesa del nuovo film della "madrina" di questa edizione del festival, Ann Hui, il Far East propone il lavoro di un'interessante regista emergente giapponese Tanada Yuki, One Million Yen Girl. Protagonista è un'adolescente, Suzuko (impersonata dall'astro nascente Aoi Yu) che per un banale incidente finisce in prigione. Questo evento innescherà una serie di nefaste conseguenze sulla vita della ragazza, che a partire da quel momento non sarà più in grado di sviluppare delle relazioni con il mondo circostante. Suzuko decide, infatti, di spostarti di città in città, in attesa ogni volta di guadagnare la cifra di un milione di yen, che gli consentirà di trasferirsi da un'altra parte. Tanada Yuki (che firma anche soggetto e sceneggiatura) realizza un'opera dal tocco impalpabile e delicato, mantenendosi su un registro stilistico "in sottrazione": inquadrature statiche, volutamente essenziali, predominanza dell'elissi e del non detto. Il film, così, finisce per diventare una parabola universale sulla solitudine dell'uomo e sulla sua incapacità di rapportarsi con il mondo (anche naturale) e con il resto dell'umanità. Durante la conferenza stampa la regista ha sottolineato come questa forma di "precariato esistenziale" sia molto diffusa tra i giovani giapponesi, e come l'incomunicabilità sia uno dei tratti caratterizzanti dell'attuale società nipponica.

Ma chi ha detto che le donne possono essere protagoniste solo di delicati drammi o di solari commedie? Il tailandese Chocolate, la nuova fatica del celebre actioneer Prachya Pinkaew e del coreografo d'arti marziali Panna Rittikrai sta proprio a dimostrare il contrario. Il film è interamente costruito sul corpo prodigioso della giovanissima Jeejia Yanin, campionessa di taekwondo di soli 24 anni. Jeejia incarna il lato femminile del Muay Thai: la potenza si coniuga all'eleganza e alla grazia (non per niente la ragazza ha una formazione di ballerina classica), tant'è che alcune sequenze sembrano dei veri e propri balletti. L'ultimo film di Pinkaew riprende l'essenza del cinema di kung fu più classico: si schiera dalla parte dei deboli (la protagonista è una ragazza sofferente d'autismo ma dalle incredibili doti fisiche), e riprende la vocazione al realismo dell'azione che era stata introdotta da Bruce Lee, non a caso abbondantemente citato in questa opera.
Insomma, non chiamatelo "gentil sesso"...