Recensione The Guardian (2006)

Misera la sceneggiatura, giocata tutta sull'eroe umano e sulla contrapposizione "vecchia gloria"-"giovane leone", che alla seconda ora trascorsa fra piscine gelate e tempeste in mare aperto sfinirebbe chiunque.

Eroi in mare aperto

La leggenda parla di un uomo, il "Guardiano" che vive in fondo al mare; aiuta i naufraghi a tornare in superficie e li assiste fin quando i soccorritori non li portano in salvo. Ma questa è solo una leggenda.

Ben Randall è un veterano della Guardia Costiera. Durante l'ultima missione il suo equipaggio si schianta con l'elicottero. Ben è sconvolto; viene temporaneamente sospeso dall'incarico e destinato alla scuola di addestramento soccorritori come istruttore. Dapprima riottoso, si appassiona al ruolo e trova fra le sue reclute uno scopo per ricominciare.
Il giovane Jake Fischer, tronfio e carico di odio competitivo, è una testa calda, ma è anche pieno di talento. Approda alla scuola e sarà Ben ad illuminarne il cammino, aiutandolo a superare le difficoltà fino al diploma finale.

Dal regista de Il fuggitivo, arriva The Guardian, un action movie di poco più di due ore dedicato ai soccorritori caduti vittima dei loro stessi salvataggi, anche durante il recente tifone Katrina. Intenzione che sarebbe encomiabile, se il film non fosse denso di lungaggini e scene ridondanti, concentrato su troppi personaggi e su di un arco temporale eccessivo per l'accuratezza della narrazione. Così, la storia di Ben s'intreccia con quella di Jake, e ambedue sono descritte nei minimi dettagli; la sceneggiatura si sofferma troppo su fatti poco influenti e su personaggi che vanno poi a scomparire e finisce per risultare a tratti pesante e noiosa. L'epopea del "cavaliere senza macchia e senza paura" regge a stento, minata da circostanze sempre uguali che rendono l'uno il salvatore dell'altro, anche in situazioni impossibili.

L'ineccepibile interpretazione di Kevin Costner ha un fascino d'altri tempi, ma il suo Ben, eroe triste, predestinato all'estremo sacrificio sin dai primi fotogrammi, è usurata. Colpa anche del co-protagonista, il divetto Ashton Kutcher che, ormai padrone di un fisico atletico, dovrebbe insistere un po' di più sull'espressività che a volte rimane al palo.

Misera la sceneggiatura - da Ron L. Brinkerhoff ci si aspettava qualcosa di più - giocata tutta sull'eroe umano e sulla contrapposizione "vecchia gloria"-"giovane leone" che alla seconda ora trascorsa fra piscine gelate e tempeste in mare aperto sfinirebbe chiunque. Si sorvola poi sui continui richiami dallo schock in servizio alla Cliffhanger alla scuola reclute a metà strada tra Soldato Jane e Top Gun dai quali molte sequenze sembrano prelevate.
Poco originale, soprattutto per chi ha amato Ufficiale e gentiluomo, capostipite della saga dell'addestramento infame di teste calde.

Poche frecce dunque all'arco di Andrew Davis, se non la nobile intenzione di ricordare dei veri eroi.