Recensione Gardener of Eden - Il giustiziere senza legge (2007)

Tra aneddoti da college movie e picaresche virate verso il pulp, lo script di Adam "Tex" Davis affoga la noia di provincia in una ricerca sistematica del "politicamente scorretto", non disdegnando poi quei toni goliardici che ridimensionano opportunamente la portata degli avvenimenti narrati.

Eroe per caso

Eroe per caso o più semplicemente anti-eroe? Investito d'un tratto da quelle circostanze che ne mettono in luce non tanto il valore, quanto piuttosto le oscure pulsioni di un carattere mai rassegnatosi alla propria mediocrità, il protagonista di Gardener of Eden - Il giustiziere senza legge rivela sin dall'inizio un fascino ambiguo. Così come l'esordio alla regia dell'attore Kevin Connolly (John Q, Le pagine della nostra vita), non immune da una fastidiosa tendenza al bozzettismo, esibisce alcuni spunti discretamente vivaci e originali proprio quando la vita nella sonnolenta (e talvolta sanguinolenta) provincia americana si trasforma in un teatrino dell'assurdo, sospeso tra immobilità e chiari segni di insofferenza. Siamo a Bickleton, nel New Jersey. Ma soprattutto siamo alla periferia dell'American Dream, del "sogno americano" di cui si vogliono evidenziare gli aspetti malati, contraddittori, contorti; il che non rappresenterebbe certo una novità, se non fosse che gli strumenti di cui si servono Connolly e Adam "Tex" Davis (autore della sceneggiatura) possiedono una pur minima carica destabilizzante, persa tra il realismo degli ambienti descritti e l'affiorare, a tratti, di un macabro umorismo.

Basterebbero forse i minuti iniziali di Gardener of Eden per definire il background di un'America che si appresta, alternando sprazzi di sincerità e tendenze assolutorie, a mettersi in discussione. Nell'introdurre le coordinate modeste e ordinarie della propria esistenza, la voce off del protagonista Adam Harris si sofferma infatti sulle figure del nonno e del padre, uno reduce della Seconda Guerra Mondiale e l'altro del Vietnam. Ma se dai ricordi del nonno trapela, nei confronti dell'esperienza bellica, una certa fierezza, qualsiasi patina eroica è destinata poi a frantumarsi nel mutismo e nell'espressione atona del padre, che il Vietnam preferisce tenerselo dentro.

Quali sono, invece, le battaglie che attendono il nostro Adam e i suoi coetanei, terminata la scuola? Verrebbe voglia di scomodare qualche massima, tra quelle coniate dal Tyler Durden di Fight Club, qualcosa come "La nostra Grande Guerra è quella spirituale, la nostra Grande Depressione è la nostra vita", emblema di crisi generazionali ancora in corso. Tra aneddoti da college movie e picaresche virate verso il pulp (c'è persino il cervello di un'anziana signora, appena investita da un auto, in bella vista per strada), lo script di Adam "Tex" Davis affoga la noia di provincia in una ricerca sistematica del "politicamente scorretto" (notevole che una volta tanto l'immigrato dal coltello facile e dagli atteggiamenti sgradevoli non risulti arabo o slavo, bensì israeliano), non disdegnando poi quei toni goliardici che ridimensionano opportunamente la portata degli avvenimenti narrati.

In codesto humus malsano, a ridosso di un episodio che definire accidentale è riduttivo, nasce infatti la vocazione da giustiziere del giovane Adam. Col pestaggio a sangue di un violentatore seriale, frutto di un incontro imprevisto che accende le fantasie del protagonista, si profila l'ascesa di un vendicatore anomalo, determinato a far concorrenza alla polizia neanche fosse uno di quei supereroi dei fumetti che in segreto vorrebbe prendere a modello.
Nerds alla riscossa? Più che allo altro allo sbaraglio... Tra trovate esilaranti (le scene in bianco e nero, dove lui vede se stesso nei panni di un poco reattivo superman di provincia) e inevitabili delusioni, la parabola dell'Adam giustiziere non decolla come egli vorrebbe. In compenso, la curiosità dello spettatore nei confronti del personaggio e delle situazioni che costui deve fronteggiare cresce progressivamente, grazie anche a scelte di casting quanto mai appropriate: Lukas Haas, che da ragazzino si fece conoscere a Hollywood interpretando Witness - Il testimone e Scarlatti, ha dimostrato con quelle orecchie a sventola ed uno sguardo più spiritato del solito di essere il tipo adatto, per conferire all'atipico protagonista di Gardener of Eden l'aura di anti-eroe sfigato, comunque combattivo, di cui il film necessitava assolutamente. Anche Erika Christensen non sfigura nel ruolo a lei assegnato, ma è il camaleontico Giovanni Ribisia far puntare i riflettori sul suo Vic, un piccolo spacciatore istrionico e cinico, personaggio che si impone alla distanza quale degno contraltare di un eroe dimezzato.