Recensione Il Codice Da Vinci (2006)

Una versione in celluloide molto fedele al romanzo di Dan Brown ma priva di passione e di ritmo, che non riesce ad avvincere quanto il racconto da cui è tratta.

Enigmi e sbadigli

Film scandalo, film evento, film blasfemo; sono tante le etichette che negli ultimi mesi sono state affibbiate a Il codice Da Vinci, attesissima pellicola tratta dal super bestseller di Dan Brown. Se fossimo però costretti a descrivere l'ultimo film di Ron Howard con unico aggettivo, non potremmo che optare per "film brutto". E giusto per essere chiari fin dall'inizio, non siamo tra quelli che stanno giudicando l'opera per il suo contenuto "peccaminoso" né tantomeno siamo tra coloro che hanno bollato il romanzo in questione semplicemente come spazzatura, anzi ci eravamo divertiti e appassionati a seguire le avventure al limite dell'incredibile di Robert Langdon, in una vicenda ricca di mistero e pathos. E sono proprio questi gli elementi che mancano invece a questo adattamento cinematografico, una versione in celluloide molto fedele al racconto di Brown ma priva di passione e di ritmo.

E pensare che il film, con la sua fotografia scura, le ambientazioni un pò inquietanti (qualcuno ricorda la serie tv Belfagor con quel Louvre spettrale e al limite dell'orrorifico?) e gli avvenimenti serratisissimi del romanzo da cui proviene, si poteva prestare benissimo ad un thriller di gran fascino, ma sin dalla prima sequenza è evidente che la capacità di creare tensione negli spettatori non è tra i pregi del regista/artigiano Howard, o tantomeno dello sceneggiatore Akiva Goldsman. Forse il caso "fanta-religioso" creato intorno al film, l'aura scandalosa che lo ha avvolto fin dal primo giorno delle riprese, ha fatto dimenticare ai suoi autori la vera natura dell'opera, ovvero quella di un racconto che prima ancora di far discutere ha fatto appassionare decine e decine di milioni di lettori.

Passando sopra quasi del tutto al fattore thriller, dell'opera di Brown rimangono quindi solo gli aspetti più controversi, ovvero i contenuti a rischio che intepretano in maniera più o meno verosimile le fondamenta del Cristianesimo, ovvero la natura divina di Gesù Cristo: Howard sceglie di non schierarsi, ma si limita a riprodurre in immagini le tesi avanzate dallo scrittore (o, a voler essere più corretti, dei tanti autori a cui Brown stesso si è ispirato) mettendoci del suo soltanto dal punto di vista visivo, cercando quindi di rendere più cinematografiche e d'appeal i tanti capitoli prevalentemente descrittivi e didascalici del libro. E quando diciamo che ci mette del suo, intendiamo proprio alla lettera, visto che in più di una occasione le sequenze oniriche di Langdon che a che fare con gli enigmi da affrontare per proseguire con la sua avventura ricordano decisamente le visioni geniali e matematiche del John Nash di A Beautiful Mind, film che fruttò ad Howard ben due premi Oscar.

Se aggiungiamo a quanto sopra alcune sequenze dalle scelte registiche a dir poco imbarazzanti (la sequenza verità in cui ci lascia Rémy e si scopre l'identità del "maestro" può andar bene in un TV-movie, ma di certo non in una produzione da oltre cento milioni di dollari), è evidente che il tallone d'achille in questo ensemble è proprio il direttore d'orchestra, colpevole anche, o forse soprattutto, di non aver saputo guidare con autorevolezza l'ottimo cast di attori a sua disposizione: in particolare i due protagonisti Tom Hanks e Audrey Tautou mancano di alchimia o di una anche minima parvenza di consapevolezza di quello che gli sta succendendo intorno, sembra avvolgerli quasi un senso di apatia, una sensazione in cui lo spettatore non potrà che ritrovarsi, ma che appare sicuramente fuori luogo nel caso di personaggi coinvolti nella più grande cospirazione della storia dell'umanità.

Concludiamo con un'ultima nota, positiva, quella della sequenza finale in cui il film finalmente riesce a trasmettere qualche emozione, grazie anche alla colonna sonora di Hans Zimmer ben sfruttata in extremis, e a dare un pur minimo senso di epicità alla storia: potremmo considerarlo un pregio, ma in questo caso prevale il rimpianto di non essere entrati in sala direttamente negli ultimi minuti.

Movieplayer.it

2.0/5