E.T.: Creazione di una favola

Come ogni evento che si rispetti, E.T. è particolare anche per alcuni aspetti della sua realizzazione.

Da un successo del calibro di E.T. L'extraterrestre ci si aspetterebbe una poderosa macchina produttiva alle spalle, pianificazione totale e una organizzazione di grande livello, invece ci troviamo davanti a un lavoro che ha istintività superiore a tutto quello che il regista avrebbe fatto negli anni a venire.

Steven Spielberg dichiara di aver convissuto con E.T. da molto tempo prima di lavorare attivamente al film. Tanto che, girando la scena finale di Incontri ravvicinati del terzo tipo, si era sentito sì triste mentre Richard Dreyfuss saliva sulla nave aliena, ma molto di più quando vi saliva l'alieno.
Forse è proprio da lì che ha preso forma e si è concretizzata di un'idea che già viveva dentro di lui e di cui finalmente erano emerse le potenzialità.
Fu sul set de I predatori dell'arca perduta che l'idea si trasformò in una richiesta di sceneggiatura a Melissa Mathison, moglie di Harrison Ford, di cui Spielberg aveva apprezzato Black Stallion.
La Mathison non si riteneva all'altezza, e iniziò a lavorare al progetto solo dopo iniziali dubbi e rifiuti. Si concentrarono da subito sui personaggi: un punto fermo per Spielberg fu che si dovesse trattare di una famiglia con genitori separati. Da lì il personaggio di Elliott nacque spontaneamente e così gli altri personaggi umani. Più difficile la creazione di E.T.: fu subito chiaro che dovesse essere un vero e proprio personaggio e non una semplice presenza.
La Mathison indagò tra i ragazzini su che potere si aspettassero che un essere di un altro mondo dovesse avere e la tendenza fu verso il potere di curare, di prendersi cura della sofferenza altrui. Da lì seguì l'idea di legare E.T. alla vegetazione, alla raccolta di piante, semi... una specie di droide da raccolta.
Il lavoro di scrittura fu molto veloce, poche settimane alternate da letture e indicazioni di Spielberg, che fu entusiasta già della prima stesura della sceneggiatura, tanto da essere pronto a girare subito.

La scelta del cast è un altro punto vincente del film: Spielberg incontrò Drew Barrymore sul set di Poltergeist: demoniache presenze e ne fu molto colpito, tanto da dirottarla sul suo progetto. Fu la prima attrice reclutata per il film.
Henry Thomas si esibì in un provino strabiliante ed ottenne la parte. Con Robert MacNaughton si trattò di una conversazione sui suoi interessi che venne fuori essere biciclette, Dungeons & Dragons... cose presenti nel film.

Il personaggio più importante dei film resta comunque l'alieno.
Spielberg voleva che avesse una forma particolare, diversa dal solito alieno e soprattutto che non fosse immediatamente riconducibile a un pupazzo con qualcuno dentro, da cui l'idea del collo lungo.
Lo studio sul personaggio è stato iniziato da Ed Verraux e alcuni dei suoi schizzi già presentavano parte delle caratteristiche che Carlo Rambaldi ha poi miscelato alla perfezione nell'E.T. definitivo, con una lavorazione di tre mesi.
Era importante che E.T. fosse il più realistico possibile, altrimenti tutto il film non avrebbe retto. Per questo motivo diverse tecniche sono state usate per impersonare E.T. nelle diverse sequenze, a seconda delle esigenze. Per gran parte del tempo, però, E.T. fu il pupazzo animato di Rambaldi, controllato a distanza da dodici persone. Il fatto di non vedere i dodici che lavoravano su di lui, ma di interfacciarsi solo con il pupazzo, fu di grande aiuto anche per gli altri attori del cast: avevano infatti di fronte a se un essere che reagiva a loro e a cui a loro volta potevano rispondere, molto più caldo e vissuto, intimo e reale, di come sarebbe stato oggi con un essere realizzato in computer graphic.
Al pari di un membro del cast, quindi, E.T. venne trattato con rispetto e dignità sul set del film. Addirittura per Drew Barrymore rappresenta il primo amico della sua vita.

Ennesima idea geniale di Spielberg fu il girare il film in modo sequenziale: le scene vennero riprese nell'ordine in cui appaiono nel film e molte delle reazioni degli attori furono del tutto spontanee perché emotivamente condizionate dall'evolvere della storia.
In più, per alcune sequenze si avvalse di trucchetti: per esempio Robert MacNaughton vide per la prima volta E.T. proprio quando girò la scena in cui il suo personaggio, Michael, lo vede per la prima volta. Anche la caduta degli scaffali quando vi si appoggiò fu del tutto inattesa per lui.
Più che recitare, i ragazzi si trovarono a reagire agli eventi, e questo li aiutò moltissimo, considerando anche la loro giovane età.

Un altro attore del film fu la straordinaria musica di John Williams.
Ma realizzarla presentò diverse difficoltà, soprattutto per la lunga sequenza finale: infatti, per tutta la parte conclusiva, il film è stato montato sulla musica e non il contrario. Questo perché Williams aveva difficoltà ad adattare alla perfezione la parte finale (circa 15 minuti di musica ininterrotta) alle immagini per i diversi cambi che doveva avere. Da qui la proposta di Spielberg di suonarla nel modo migliore per avere il giusto livello di soddisfazione emotiva. Avrebbe poi lui rimontato il film per adattarlo alla musica.