Recensione Che ne sarà di noi (2003)

Purtroppo Giovanni Veronesi non osa praticamente nulla: dopo aver inquadrato a sommi capi il contesto generazionale, l'opera si ferma qui.

E dopo la maturità il nulla

Il vero interrogativo, più che il Che ne sarà di noi del titolo, è dove voleva andare a parare Giovanni Veronesi con questo film. Forse voleva parlare dei dilemmi generazionali della fase immediatamente post maturità? O forse era un racconto di formazione quello che vagava nelle intenzioni degli autori? O più banalmente una storiella sentimental-sessuale tra ragazzi che si affacciano per la prima volta alla vita "adulta"? Il problema è che, qualsiasi sia stato l'obiettivo del film, non ne raggiunge certamente nessuno, perché tutto è stato costruito attorno a un pauroso nulla. Trasformare un innocuo e scapestrato viaggio estivo dopo l'ottenuta maturità in una presa di coscienza dei dilemmi e dell'insondabilità del futuro appare francamente molto azzardato. Era un compito durissimo, alla fine si è dimostrato praticamente impossibile.

La storia? Subito dopo aver sostenuto l'esame di maturità, Matteo (Silvio Muccino), Manuel (Elio Germano) e Paolo (Giuseppe Sanfelice, il figlio di Moretti che muore ne La stanza del figlio) partono per un viaggio "liberatorio". A decidere la meta, tenendo però segreti i veri motivi, è Matteo, che ha una storia con una ragazza più grande di lui, Carmen (Violante Placido), e sa che lei andrà a fare un viaggio proprio su un'isola greca, Santorini. Che ovviamente diventa anche la meta dei tre amici. Da questo presupposto piuttosto fragile e banale, il film prende subito la strada degli amori non corrisposti, dove ognuno insegue chi nel frattempo sta inseguendo un altro.
Ma pur debole, questo presupposto era una base su cui qualcosa si poteva costruire. Purtroppo invece Giovanni Veronesi non osa praticamente nulla. Dopo aver inquadrato a sommi capi il contesto generazionale, non trascurando tatuaggi, manie, canne e un gergo dove i vaffanculo sono la parola dominante, l'opera si ferma qui, non scavando neppure di un millimetro dentro i personaggi.

La sceneggiatura, scritta a quattro mani con Silvio Muccino, è davvero piatta e senza nerbo. Se a questo abbiniamo una regia sciatta e anonima ecco che il risultato è un prodotto piuttosto imbarazzante. Solo in qualche scena, soprattutto verso il finale, inizia a venir fuori qualcosa dei personaggi e dei loro caratteri. Ma è troppo tardi, fino a quel momento il film ha fatto solo un'insipida melina senza mai osare un attacco. Visto che ci ha messo del suo anche Silvio Muccino, si poteva pensare a un film che in qualche modo tentasse di ripercorrere la strada, condivisibile o meno, che ha portato al successo il fratello Gabriele. Ma anche da questo punto di vista si è approdati al nulla. A Gabriele Muccino infatti vanno addebitati mille difetti, ma gli va anche riconosciuta una certa padronanza della tecnica cinematografica e una capacità di affabulare il grande pubblico. Caratteristiche invece che qui restano completamente assenti. E così, a salvare la baracca, restano solo gli stupendi paesaggi greci e la bella musica di Andrea Guerra. Davvero un po' poco. Agli spettatori, se questa è una delle vie che vuole prendere il nuovo cinema italiano, non resta che chiedersi: che ne sarà di noi?

Movieplayer.it

2.0/5