Recensione Notte brava a Las Vegas (2008)

Commedia buffa e strampalata che punta su due icone dello star system: la Diaz è una broker nevrotica e maniaca della perfezione e Kutcher un donnaiolo fannullone appena licenziato dall'azienda di suo padre.

Due sposi per caso

Cosa può succedere a mettere insieme due sex symbol in una nottata di follie, alcool, gioco d'azzardo e divertimento sfrenato a Las Vegas? Può accadere che Cameron Diaz e Ashton Kutcher si sveglino la mattina, storditi e immemori della serata, nudi in una suite d'albergo e, come prova un anello al dito a forma di dado, siano diventati marito e moglie!
In Notte brava a Las Vegas, commedia buffa e strampalata che punta su due icone dello star system, Joy McNally (Diaz) è una broker nevrotica e maniaca della perfezione appena stata lasciata dal fidanzato e Jack Fuller (Kutcher) è un donnaiolo fannullone e immaturo appena licenziato dall'azienda di suo padre. I due si ritrovano per caso a passare una notte insieme nella Sin City per eccellenza, privi di inibizioni e ogni freno di sorta come da manuale, ma compiendo l'unica delle azioni balorde che non è possibile dimenticare in un cocktail: il matrimonio. Tutto potrebbe finire con un annullamento al loro ritorno a New York, ma la situazione si complica quando i due vincono per caso il Jackpot ad una slot machine, cioè la strabiliante cifra di tre milioni di dollari.
Da buoni marito e moglie la divisione dei beni dovrebbe essere equa, ma il loro spietato darsi contro in tribunale fa scattare in un giudice tutt'altro che ordinario (lo showman americano Dennis Miller) la decisione per una condanna esemplare. Come monito per la giovane generazione superficiale e irresponsabile, Jack e Joy dovranno vivere il loro matrimonio per ben sei mesi, convivendo e dimostrando ad un'analista molto in gamba (Queen Latifah) di impegnarsi seriamente nella riuscita del rapporto.
Niente di più difficile, per due essere completamente opposti che si fanno la guerra con ogni mezzo nel tentativo di sfinire il proprio coniuge al punto di mollare la sfida e aggiudicarsi così tutto il malloppo. Si innesca una Guerra dei Roses fatta di tremende ragazzate inflitte a vicenda. Gli scontri fanno perno sui cliché che dividono da sempre uomo e donna: l'incapacità di abbassare la tavoletta del wc per lui, le ore interminabili passate in bagno di lei, i calzini maleodoranti e le distese di birra di lui contro un femminile controllo ossessivo dell'ordine. Le scenette che ne escono sono divertenti e i mille malintesi nati da una coppia di grandissimo fascino che, si sa, deve prima o poi finire innamorata, mantengono una strana suspence di attrazione sotto l'odio palesemente dimostrato.
Il corso degli eventi, per quanto sorretto da una buona e valida dose di umorismo, è scontato come i saldi di primavera. Chissà se finiranno insieme questi belloni che tra uno strillo ed un pugno si guardano languidamente sotto gli alberi di Central Park?

Purtroppo un grosso errore commesso spesso da questo tipo di film d'intrattenimento è di voler accontentare tutti, finendo per deludere un'ampia fetta di pubblico. Il romanticismo, almeno in questo caso, è un deterrente al divertimento. Se si fosse puntato di più sulla risata senza fermarsi troppo generosamente a dare pane alle bocche affamate di Harmony dell'audience più sdolcinato, il risultato sarebbe stato di sicuro migliore.
Perché se un film deve far ridere, deve anche necessariamente far riflettere, emozionare e commuovere? Non si ha il coraggio di affrontare il tema dell'amore con un sano e divertente cinismo che riuscirebbe a scrollarsi di dosso tante inutili smancerie stucchevoli e ad evitare il fastidioso finale emozionalmente politically correct.