Recensione À moi seule (2012)

A moi seule risulta un esperimento non completamente riuscito, inadatto a dire qualcosa di nuovo ed interessante su un tema drammatico di cui si limita a tratteggiare un quadro sbiadito.

Dov'è la libertà?

E' una strana coincidenza ritrovarsi a scrivere di A moi seule proprio mentre online si torna a leggere del caso di Natascha Kampush in relazione a novità sulla morte del suo carceriere Priklopil. Perchè è chiara l'ispirazione di Frederic Videau per la storia di quel rapimento, sebbene la didascalia iniziale tenga a sottolineare come fatti e pensieri dei personaggi del film siano assolutamente immaginari.
Gaële è il nome della protagonista, rilasciata improvvisamente proprio ad inizio film dopo otto anni prigioniera di Vincent, otto anni in cui il suo carceriere è stato tutto per lei, in cui ha dovuto vivere giorno dopo giorno guadagnando i suoi favori per ottenere ciò di cui aveva bisogno. Una lotta che non finisce con la sua liberazione, con il ritorno in un mondo tutto da scoprire, tornando a contatto con dei genitori che non conosce ed una casa che non le appartiene più. Prigioniera nel mondo esterno quanto in casa di Vincent.

Videau è interessato soprattutto al mondo interiore di Gaële, a quello che prova, alla sofferenza che ha vissuto e che deve ancora affrontare. Per questo apre il film con la sua liberazione, per sgomberare subito il campo dall'aspetto più sensazionalistico della storia e permettere allo spettatore di concentrarsi sulla protagonista, il suo disagio e smarrimento, la difficoltà di ritrovare il proprio posto nel mondo, ma anche la sua forza nell'affrontare la situazione. Non si tratta della classica Sindrome di Stoccolma, ma proprio di un legame che suo malgrado si è formato con Vincent, unico punto di riferimento per otto lunghi anni. Non stupisce che sia proprio la notizia della morte di lui a spingerla a trovare la sua strada, a renderla realmente libera.
Si tratta di un argomento delicato, che avrebbe meritato un'analisi più approfondita, sia dal punto di vista della ragazza, che per quanto riguarda le motivazioni di Vincent, desideroso di essere una figura simile ad un padre per lei.
Videau alterna il presente di Gaële con framenti della sua vita con Vincent, con lo scopo di mostrarci questo legame così inevitabilmente incomprensibile, di spiegarci l'evoluzione della loro storia dai primi difficili momenti in avanti. Ma alcuni passaggi del rapporto tra i due appaiono affrettati, soprattutto l'analisi della componente sessuale di questa relazione. Così come non convincono altri aspetti della pellicola: pensiamo per esempio alla gestione della colonna sonora, che passa da un'assenza di musica efficace ed opprimente ad un brano più ritmato che sottolinea in modo inadeguato la partenza di Gaële da casa.
A moi seule, presentato in concorso all'edizione 2012 del Festival di Berlino, risulta quindi un esperimento non completamente riuscito, inadatto a dire qualcosa di nuovo ed interessante su un tema drammatico di cui si limita a tratteggiare un quadro sbiadito.

Movieplayer.it

2.0/5