Recensione Guida galattica per autostoppisti (2005)

La guida galattica per gli autostoppisti rappresenta una forma di intrattenimento gradevole e, cosa abbastanza rara, intelligente che ricerca un ragionevole compromesso tra la dimensione spettacolare e quella letteraria.

Don't Panic

È stato l'evento di apertura della prima fortunata edizione del Biografilm Festival di Bologna, ma anche un vero e proprio happening che ha portato decine di appassionati all'anteprima italiana de La guida galattica per autostoppisti, seguita dal documentario Life, The Universe and Douglas Adams, diretto dall'americano Rick Mueller e dedicato alla figura del geniale autore inglese, Douglas Adams appunto, fautore dei cinque romanzi che fanno capo alla saga della Guida galattica.

La storia della "Guida" viene da molto lontano, dall'Inghilterra (patria tutelare delle saghe - prima letterarie poi cinematografiche - maggiormente esemplari del secolo scorso e attuale, da Il signore degli Anelli a Harry Potter) degli anni Ottanta, e più precisamente del 1979, anno in cui Douglas Adams condensò in un romanzo - la Guida galattica per autostoppisti appunto - il repertorio irriverente e totalmente surreale dei suoi episodi radiofonici, costruiti su battute a raffica - nella migliore tradizione ironica britannica -, ricchi di invenzioni gergali e con uno spunto di partenza davvero accattivante: un terrestre, sopravvissuto alla distruzione della Terra, alle prese con lo sconfinato e misterioso universo.
Il fenomeno esplose prima in Gran Bretagna, poi anche negli altri paesi, alimentato da altri quattro romanzi (alla Guida galattica seguono Il ristorante al termine dell'universo, La vita, l'universo e tutto quanto, Addio e grazie per tutto il pesce, ), da trasmissioni televisive e persino da un videogioco. La chiave del successo dei libri è una miscela di commedia, avventura, fantascienza e filosofia, attraversata da una ventata di umorismo mai volgare, che non risparmia la satira di costume ma che è capace di innestarsi su corde anche profonde, investendo possibili interpretazioni sulle origini cosmiche della Terra e toccando questioni esistenziali che difficilmente possono lasciare indifferenti.

Consapevole della portata avveniristica e spettacolare del suo racconto, Adams ha cercato per vent'anni di trasportare la sua opera sul grande schermo ed era impegnato nella seconda stesura della sceneggiatura quando è mancato prematuramente nel 2002, a causa di un attacco di cuore. Cosciente, anche, dello scollamento che esiste tra un romanzo e la sua traduzione filmica, Adams aveva predisposto nel suo script una trama differente da quella delineata nei libri, arricchendo la storia con personaggi creati appositamente per la versione cinematografica, tra cui quello di Humma Kavula, un leader religioso sui generis, interpretato da John Malkovich. Questo perché Adams aveva intuito che il suo serbatoio di storie, battute, protagonisti non sarebbe più stato un patrimonio statico all'interno della cultura popolare, ma sarebbe stato adattato in funzione del medium in cui - di volta in volta - sarebbe stato trasposto.

Non deve essere stato un compito facile per il regista del film Garth Jennings, al suo debutto nel lungometraggio dopo aver diretto pubblicità e video musicali dei Blur, R.E.M. e Supergrass, prendere a carico un film dalle fondamenta così amate. Ma veniamo alla storia. Arthur Dent (Martin Freeman, dalla serie tv The Office) è un tipico uomo medio inglese, timido e insicuro di sé, che si alza un mattino non avendo idea di quante ne dovrà passare nel corso della giornata: la sua casa, infatti, sta per essere demolita per far posto a un'autostrada e - cosa ancor più sorprendente - il suo miglior amico Ford Prefect (Mos Def) gli confessa di essere un alieno proveniente da Beetlejuice proprio poco prima che la Terra venga distrutta, anch'essa sacrificata in nome del progresso e della realizzazione di una direttrice intergalattica. Arthur, ancora in accappatoio dai traumatizzanti eventi del risveglio (e tale sarà il suo abbigliamento per tutta la durata del film) e Ford riescono a salvarsi strappando un passaggio alla nave dei Vogon, creature orripilanti che non solo presentano tutti i più esasperanti difetti degli umani burocrati, ma risultano anche pessimi e orgogliosi poeti, il cui motto è "resistere è inutile". Solo a identità svelata, l'amico può mostrare ad Arthur la celeberrima guida galattica per autostoppisti di cui Ford è uno dei redattori: un fantastico compendio elettronico (la cui voce in originale è prestata dall'attore Stephen Fry, protagonista di Wilde) che racchiude le indicazioni vitali per sopravvivere nell'universo sconosciuto, e sul quale campeggia - rassicurante - la scritta "Don't Panic", che rappresenta di fatto uno dei motivi del successo del manuale.

Grazie al sostegno della guida, Ford e Arthur fanno un altro necessario autostop e vengono catapultati niente meno che sull'astronave del presidente della galassia Zaphod Beeblebrox (Sam Rockwell, Confessioni di una mente pericolosa), il quale per mancanza di cellule celebrali ha pensato bene di dotarsi di un'altra testa, non raggiungendo comunque i risultati sperati.
Zaphod è una specie di rock-star vanesia, ma carismatica, una sintesi di Elvis Presley e Bill Clinton anche se totalmente priva di slanci brillanti e intelligenti.
Lo accompagnano il robot Marvin, l'androide paranoide, allineato sulle frequenze dei sentimenti umani e per questo costantemente depresso (interpretato fisicamente da Warwick Davies, celato dal costume, e vocalmente da Alan Rickman in originale) e Trillian (Zooey Deschanel), l'unica terrestre - oltre ad Arthur - a essere sopravvissuta all'evaporazione del nostro pianeta, perché scappata una settimana prima con Zaphod da una festa dove aveva conosciuto anche Arthur. Complicata dal triangolo sentimental-galattico, la vicenda entra nel vivo quando il presidente decide di acquisire ancor più fama e successo, andando alla ricerca della Domanda Fondamentale. Sì, perché una risposta la galassia ce l'ha già ed è 42. Tale incomprensibile e criptico responso fu elaborato dopo sette milioni e mezzo di anni da Pensiero Profondo, il più potente computer mai costruito, inventato da un popolo eccezionalmente evoluto proprio per svelare il segreto sulla vita, l'universo e tutto quanto. L'avventura è, quindi, solo all'inizio per lo svitato gruppo di alieni-umani e il suo sviluppo non può che essere taciuto, in questa sede, per rispetto dei futuri spettatori della pellicola.

Giunta diversi anni dopo quel cinema che proprio i libri della "guida" avevano contribuito a generare - la commedia fantascientifica alla Ghostbusters e alla Men in Black-, la versione filmica dell'opera di Douglas Adams è sostenuta da una visione estetica non del tutto originale, compensata però dal coraggioso ed efficace tentativo di coniugare immagini in digitale (la guida galattica, le due teste di Zaphod) con effetti prettamente fisici e materici (Marvin, i Vogon), per assicurare al film lo spirito fantasioso, inventivo ma anche umano del suo creatore. Per questi motivi, La guida galattica per autostoppisti rappresenta una forma di intrattenimento gradevole e, cosa abbastanza rara, intelligente che ricerca un ragionevole compromesso tra la dimensione spettacolare e quella letteraria.