Distretto di Polizia 11 per festeggiare Taodue

Il Roma Fiction Fest rende omaggio alla Taodue di Pietro Valsecchi che compie 20 anni; per l'occasione è stata presentata l'undicesima stagione della serie poliziesca più longeva della televisione italiana.

Non poteva esserci modo migliore per festeggiare i 20 anni della Taodue, se non presentare l'undicesima stagione del loro prodotto di punta, Distretto di polizia, l'action poliziesca più longeva della tv italiana, fiore all'occhiello della casa di produzione fondata da Camilla Nesbitt e Pietro Valsecchi nel 1991. Proprio quest'ultimo è stato l'ospite d'onore della conferenza che oggi al Roma Fiction Fest ha radunato parte del cast della nuova edizione della serie di Canale 5, diretta da Alberto Ferrari. L'uomo in più, è proprio il caso di dirlo, è Andrea Renzi, che approda al X Tuscolano nelle vesti del nuovo vicequestore aggiunto Leonardo Brandi, chiamato a sostituire Luca Benvenuto, interpretato fin dalla prima stagione da Simone Corrente. Quella dell'interprete capitolino non sarà la sola new entry della fiction. L'addio di Giuseppe Ingargiola (Gianni Ferreri) e Vittoria Guerra (Daniela Morozzi), trasferiti a Bolzano per essere più vicini al figlio, verrà compensata dagli arrivi di Maria Amelia Monti, la sovraintendente Anita Cherubini, e Paolo Calabresi, l'agente Otello Gagliardi; Valentina Cervi e l'ex Miss Italia Miriam Leone, saranno invece due ambigue figure femminili legate alle losche attività del nuovo cattivo, Antonio Corallo, interpretato da Tommaso Ragno.

Signor Valsecchi, qual è il suo bilancio dei venti anni di Taodue e delle undici stagioni di Distretto di Polizia?

Pietro Valsecchi: Francamente non saprei cosa dire. Per quanto riguarda la Taodue forse riuscirò ad essere più esauriente questa sera quando festeggeremo con il pubblico e con tutti quelli che hanno contribuito a fare grande la Taodue. In questi venti anni è davvero cambiata la mia vita. Di Distretto di Polizia stiamo già scrivendo la 12.ma stagione e credo che il segreto del suo grande successo sta nel fatto che siamo stati capaci di creare un prodotto che il pubblico ami guardare, perché è lui il vero autore. Questo è il segreto dei vent'anni di Taodue. La tv generalista sta cambiando e purtroppo non sempre per il meglio, c'è un linguaggio retorico, falso, non si trova autenticità. E' anche per questo che gli ascolti stanno crollando, il pubblico non si riconosce più in certi prodotti. La televisione dovrebbe raccontare in che paese vivi. Ma se riesci a cucinare un piatto succulento la gente ti segue, il pubblico è intelligente, sottile, attento, capisce cosa guardare e cosa no. Noi siamo come un'officina, a volte fai le Ferrari, altre invece fai un'utilitaria. Distretto è un'utilitaria che funziona benissimo. La prendi, ci vai in giro, ti porta al lavoro e non ti molla mai.

Andrea Renzi: Ho fatto molto teatro, è vero quello che dice Pietro, la gente non se la beve facilmente.

Andrea, com'è stato per te entrare a far parte di una serie così lunga?

Andrea Renzi: Io sono legato ad una concezione artigianale del mio lavoro e sono entrato in una squadra di 80 persone che giorno per giorno affronta le scene, le adatta, le spreme, per cercare di ottenere il meglio da tutti. Credo che sia come in una squadra di calcio. Se ci sono i giocatori bravi è facile. E ad essere sincero non mi sono messo a pensare alle precedenti edizioni.

Qual è il tratto distintivo del tuo personaggio?

Andrea Renzi: Ha una storia molto particolare. Leonardo è uno che taglia i ponti con il suo passato lavorativo, ha lavorato per quattro anni come infiltrato, vivendo al'estero. E' stanco ha solo voglia di tornare a casa dal figlio e di lavorare in un team.

Alberto, per te invece si tratta della terza stagione alla regia...

Alberto Ferrari: Ed è un onore. Figuriamoci io ero uno spettatore appassionato e già mi sembrava una fiction simbolo. Noi ci mettiamo davvero la passione anche se si tratta di un seriale e cerchiamo di dare il massimo in ogni scena. Credetemi è faticoso ma è anche molto soddisfacente. E poi per un regista è il massimo poter girare delle scene d'azione.

Signor Valsecchi, se dovesse raccontare qualcosa dell'Italia di oggi cosa sceglierebbe?

Pietro Valsecchi: C'è tanto da raccontare, ma sono convinto che bisogna lasciare che certe storie forti si sedimentino, altrimenti si finisce a fare gli instant movie. La cronaca è talmente veloce che brucia tutto quello che avevi pensato di scrivere solo il giorno prima. In ogni caso io sceglierei di parlare di uomini coraggiosi, di tutti quei procuratori che stanno in prima fila in Calabria e Campania e che svolgono il loro lavoro anche se lo Stato li lascia soli. Sul tema dell'immigrazione Emanuele Crialese ha fatto un bellissimo film. Mi piacerebbe fare una serie su piazza Fontana, sono convinto che sarebbe bellissima. Avevo iniziato a lavorarci, ma quando ho saputo che Marco Tullio Giordana stava per girare un film ho subito smesso. Insomma, l'importante è proporre dei contenuti interessanti per il pubblico e soprattutto per le nuove generazioni. Le storie di Giorgio Ambrosoli, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino non le raccontano mica nelle scuole. Se invece le presentiamo in tv possiamo ispirare un ragazzo o una ragazza che sono alla ricerca di personaggi da emulare. Bastano solo tre giovani per migliorare, un giorno, la classe dirigente. La tv può creare una coscienza etica, un mondo nuovo.

##Ma i ragazzi oggi la televisione non la guardano. Come si conquistano?## Pietro Valsecchi: Proponendo dei buoni prodotti. Il prodotto che funziona ha una vasta eco su inernet, che è il mezzo più amato dai giovanissimi. E se sai che in giro c'è qualcosa di buono allora ti interessi.

E' per questo motivo che ha deciso di produrre un film sul delitto di via Poma? Pietro Valsecchi: Certo, il delitto di via Poma è qualcosa che appartiene alla nostra memoria collettiva, è una metafora del nostro Paese, un Paese in cui le storie si insabbiano senza mai arrivare alla verità. Il pubblico lo amerà, lo guaderà e si farà una sua opinione perché il film tv di Roberto Faenza non è un'opera a tesi.

Imposterebbe mai una serie su di un cattivo?

Pietro Valsecchi: No, gli eroi non possono mai essere i cattivi. Ricordo benissimo tutte le polemiche relative al Capo di capi, ma in quel caso Riina non è stato trasformato in eroe, abbiamo semplicemente raccontato qualcosa, la mafia, che appartiene alla nostra storia. Puoi sbagliare ad aggiungere un ingrediente, dosare male il sale e il peperoncino, ma non sbagli se affronti qualcosa che la gente vuol seguire.