Recensione The Devil's Double (2010)

Il regista di 007 La morte può attendere e di Once were warriors analizza nel dettaglio l'incredibile vicenda vissuta da Latif Yahia e la usa, senza mostrare un particolare interesse o una particolare delicatezza al riguardo, per raccontare l'Iraq di quegli anni e lo fa dando alla pellicola un tocco grottesco e volutamente kitsch che, se in certi momenti diverte e intrattiene, in altri viene invece talmente esasperato da risultare difficile da sopportare.

Diavolo contro diavolo

Baghdad 1987. La capitale dell'Iraq è un importante crocevia del mercato internazionale, scenario ideale per i traffici di tutti gli uomini d'affari più prestigiosi del Medio Oriente ma anche terreno fertile per terrorismo, corruzione e spionaggio, una città in cui si può trovare davvero di tutto ciò che si vuole, ma ogni cosa ha il suo prezzo. Ed esso talvolta è altissimo. Chi sa bene come questa situazione possa risultare favorevole è Uday Hussein, figlio maggiore del dittatore Saddam, noto in patria con l'appellativo di Black Prince. Uno psicotico isterico che con in bocca il suo sigaro e a bordo delle sue lussuosissime automobili semina il panico in città. Uday è infatti uno schizzato cocainomane, una persona irritante che non conosce limitazioni, uno che va a procacciarsi le ragazze per strada all'uscita della scuola e si prende tutto quello che vuole, con le buone o con le cattive, senza farsi scrupoli, neanche quando si tratta della novella sposa del fratello minore. Uday Hussein è un uomo fuori controllo e fuori di testa che vive da intoccabile in un favoloso e blindato mondo dorato ma che negli anni si è fatto un sacco di nemici. Un bel giorno si rende conto che non gli bastano più le guardie del corpo e che per sfuggire agli attentati e salvarsi la pelle nelle occasioni più pericolose gli serve un sosia. La sua scelta ricade su un vecchio compagno di scuola ex-ufficiale dell'esercito iracheno Latif Yahia. Minacciato di morte e torturato pesantemente, l'uomo alla fine accetta di rifarsi il naso e di mettere una protesi dentale per diventare la copia esatta del principe, presenziando al suo posto tutti gli appuntamenti più scomodi e prendendosi qui e là qualche pallottola a lui destinata. Per Latif riuscire a fidarsi di qualcuno in quella gabbia di matti diventa impossibile ma quando la situazione internazionale precipita e il paese entra in guerra decide di seguire il consiglio di Sarrab, la donna preferita di Uday che si è innamorata di lui, secondo la quale tentare la fuga è l'unica possibilità per entrambi di uscire dall'incubo. Solo che i due non hanno ancora fatto i conti con i potenti mezzi della famiglia Hussein...

Baghdad fa da scenario per un gangster movie ambientato alla fine degli anni '80, durante il periodo d'oro iracheno fino all'invasione del Kuwait del 1990. The Devil's Double è infatti incentrato sulla dualità del personaggio di Uday Hussein (morto nel 2003 per mano delle Forze Speciali americane) e di conseguenza sull'apprezzabile doppia performance attoriale di Dominic Cooper che per la prima volta nella sua carriera affronta un difficile ruolo da protagonista interpretando insieme il diavolo e l'acquasanta. Nonostante l'accuratezza del lavoro scenografico e il fascino innegabile di una storia umana così toccante come quella realmente vissuta e poi raccontata dal vero Latif Yahia nel suo libro autobiografico, il risultato è decisamente deludente. Leccatissimo, estremo, macchiettistico e talvolta involontariamente ridicolo, il film è narrato in maniera disomogenea ed è anche poco amalgamato al contorno socio-politico, visibile solo in qualche immagine di repertorio sistemata ad hoc tra una sfuriata maniaco-compulsiva del principe e una sparatoria per le vie della città. Al grande lavoro intepretativo di Dominic Cooper si contrappone però la flaccida interpretazione di Ludivine Sagnier, imprigionata sotto tonnellate di trucco e dentro ad un personaggio osceno totalmente privo di spessore ed efficacia, a metà tra Jessica Rabbit e Morticia Addams.
Il regista di 007 La morte può attendere e di Once Were Warriors analizza nel dettaglio l'incredibile vicenda vissuta da Latif Yahia e la usa, senza mostrare un particolare interesse o una particolare delicatezza al riguardo, per raccontare l'Iraq di quegli anni e lo fa dando alla pellicola un tocco grottesco e volutamente kitsch che, se in certi momenti diverte e intrattiene, in altri viene invece talmente esasperato da risultare difficile da sopportare. Il tutto senza sapere dove andare a parare e senza neanche riuscire ad offrire allo spettatore una sua visione artistica degli accadimenti. Qualche momento di lucidità il film riesce ad averlo, soprattutto nelle scene in cui compare Saddam Hussein, ma si finisce per fare fatica a capire cosa nel racconto sia volutamente ironico e cosa no.
Il risultato è un B-movie patinato, che lascia poco all'immaginazione, che si basa sì su fatti realmente accaduti, ma che lascia costantemente l'impressione che gli autori si siano concessi diverse libertà senza farsi mancare un paio di cadute di stile davvero raccapriccianti. Realizzato con una buona tecnica nella prima parte, il film si affloscia nella seconda anche dal punto di vista visivo, e nell'intento di somigliare ad uno Scarface moderno in versione mediorientale, finisce per avvicinarsi ad un eccentrico lungo episodio di 007 ambientato tra i locali più trasgressivi di Baghdad e le residenze dorate del rais iracheno. Peccato, perchè la storia vera di Latif Yahia avrebbe meritato un destino cinematografico di ben altro spessore.

Movieplayer.it

2.0/5