Days, la recensione: Solitudini che si incontrano

Days, la recensione del nuovo affascinane film di Tsai Ming-Liang in concorso a Berlino 2020.

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Days: Kang-sheng Lee, Anong Houngheuangsy in una scena del film

Chi conosce l'opera di quel maestro del cinema che è Tsai Ming-Liang, e il particolare gli ultimi sviluppi della sua filmografia, capirà che esperienza possa essere la visione di un suo nuovo lungometraggio, tra emozione e attesa, così come capirà quanto sia difficile convogliare tutto ciò in questa nostra recensione di Days, presentato in concorso al Festival di Berlino 2020, per un ritorno alla manifestazione tedesca dopo il passaggio del 2014 con Journey to the West. Non è l'unico punto in comune tra i due film, perché Days prosegue il discorso impostato con quel lavoro precedente e un ragionamento sulla lentezza e l'impatto delle immagini, nonché la capacità e necessità di accoglierle e assorbirle.

Recensione Journey to the West (2013)

Il racconto dilatato

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Days: una scena del film

Non c'è molto di narrativo in Days, non nel senso tradizionale e mainstream del termine, ma questo non vuol dire che il nuovo film del maestro di Taiwan non ci racconti una storia. Lo fa attraverso due personaggi: da una parte Kang, interpretato dall'attore con cui ha collaborato per anni, Lee Kang-Sheng, che vive solo e osserva il mondo attraverso le vetrate della sua finestra, mal sopportando una sofferenza fisica che non riesce a guarire; dall'altra Non, che vive in un piccolo appartamento di Bangkok e passa le giornate nella attenta preparazione di piatti tradizionali della sua zona d'origine. Due solitudini che i due uomini riescono a condividere quando si incontrano in una stanza d'albergo, per dedicarsi l'uno all'altro e mettersi alle spalle le loro vite, almeno per una notte.

Senza parole

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Days: una sequenza del film

C'è una frase in apertura di Days, un avvertimento che subito mette in chiaro la natura e le intenzioni del regista: "Questo film è intenzionalmente non sottotitolato". Perché, in realtà, non c'è bisogno che lo sia. Perché il racconto impostato da Tsai Ming-Liang riesce a comunicare senza bisogno di parole e anche quell'unico fugace scambio di battute, dopo il tempo trascorso insieme dai due uomini, è del tutto ininfluente per la comprensione di quel che accade e del senso del film, della sua storia e del suo messaggio. Di quella ricerca sul tempo cinematografico e sulle long take alla quale abbiamo accennato in apertura. Né c'è bisogno di musica nel film di Tsai Ming-Liang, se non quella dolce e delicata del carillon che Kang regala a Non, che spezza la monotonia dei suoni ambientali che accompagnano la ricerca visiva dell'autore.

Raccontare per immagini

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Days: un'immagine del film

In due ore e sette minuti di film, infatti, non andiamo oltre la quarantina di inquadrature fisse (che sono comunque tante in confronto a quanto accadeva in Journey to the West) che ci forzano in spaccati della vita e della monotonia dei due uomini: lunghe inquadrature tenute per minuti interi che chiedono molto allo spettatore in termini di attenzione, resistenza e dedizione, ma ripagano con quella magia di cinema purissimo che è propria del regista taiwanese. Immagini solide, forti, costruite con cura e maestria, che raccontano due mondi e due vite, che si lasciano andare anche a momenti di grandissimo lirismo, come quella della facciata a vetri di un edificio abbandonato su cui scorgiamo la sagoma di un gatto che l'attraversa.

Conclusioni

In chiusura di questa recensione di Days, va sicuramente sottolineato quanto il cinema di Tsai Ming-Liang non sia per tutti, perché chiede molto allo spettatore in termini di impegno, attenzione e dedizione. Se però si è tra gli estimatori dei film dell’autore di Taiwan, si troveranno molti motivi di interesse e lo sviluppo di quel discorso sui tempi e il linguaggio cinematografico iniziato con Journey to the West.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • La capacità di raccontare con una sequenza di spaccati di vita dilatati e ipnotici.
  • La forza delle immagini e delle inquadrature scelte dal regista.
  • La fascinazione che evoca il cinema di Tsai Ming-Liang…

Cosa non va

  • … che però taglia fuori i non estimatori dell’autore e di questo tipo di cinema.