Recensione Monty Python: il senso della vita (1983)

Dio creò il mondo in sette giorni. E L'ottavo giorno i Monty Python pensarono bene di distruggerlo, o di sovvertirne le regole già ben consolidate, in poco più di un'ora e mezza.

Dalla burla alla tomba

Il quarto ed ultimo film dei Monty Python, non poteva che essere il più ambizioso e il più riuscito del geniale "Circo Volante" inglese. I tentativi simil-enciclopedici di trovare bizzarramente il significato della vita e della morte, trovano nei sette capitoli in cui è suddivisa la pellicola (come i sette giorni biblici della creazione) tutto l'armamentario che lo straordinario gruppo di comici inglesi ha impiegato nel corso della sua carriera. La profondità del tema trattato, in realtà, spinge i Python a capovolgere i concetti religiosi, filosofici e antropologici con un occhio di riguardo alle conseguenze sociali di determinate scelte morali o pseudo tali.

Monty Python: il senso della vita è un compendio di sketches fulminanti sparati a trecentosessanta gradi, dove tutti, ma proprio tutti, sono bersaglio continuo dei Monty Python, nessuno escluso. Momenti esilaranti, disgustosi e velenosi si succedono senza tregua in una struttura a pannelli che rafforza il carattere di summa dell'intero film. I vari capitoli (inframmezzati dalle magistrali animazioni curate come sempre da Terry Gilliam e supportati dal pastiche orchestrale di John Du Prez) sono veri e propri monoliti neri che sembrano conservare il prezioso segreto dell'evoluzione umana, come in un 2001: Odissea nello spazio ribaltato e proposto in chiave comica. Fatto è che in conclusione, quando finalmente il senso della vita è rivelato, anche lo spettatore ne esce beffato per il carattere lapidario della risposta, come se l'anello debole di tutta la catena fosse proprio la realtà, perché è proprio questa che nel film, in definitiva, fa ridere. E non c'è da meravigliarsi più di tanto, visto il tipo di "relatori" che ci siamo sorbiti per tutta la durata della pellicola.

Monty Python: il senso della vita si apre con una specie di prologo (con tanto di titoli di coda) dal titolo The Crimson Permanent Insurance, in cui è il capitalismo d'assalto ad essere messo alla berlina. Assistiamo ad una storia picaresca ambientata negli ambienti dell'alta finanza inglese, dove gli schiavi vogatori di una compagnia assicurativa (in realtà semplici impiegati un po' avanzati con l'età) si ribellano al licenziamento di un loro collega fino ad impossessarsi del "vascello". I novelli pirati iniziano così l'assalto ai lidi dorati dell'economia occidentale dove le armi contabili sono più dolorose di spade e cannoni. Il primo capitolo (Il miracolo della nascita) è una satira feroce (e, ahimè, attualissima) della sanità, tra partoriente bistrattata, dottori superficiali, macchinari costosi soltanto perché fanno "bim", amministratore in tenuta chic e pubblico invitato ad assistere al parto (escluso il marito) con tanto di ripresa video disponibile in diversi formati. Il terzo mondo (Il miracolo della vita parte seconda) sbatte in faccia alle alte gerarchie ecclesiastiche il divieto dell'uso di contraccettivi, riempiendo una casa cattolica di una marea di bambini, molti dei quali, a causa del licenziamento del capofamiglia, saranno destinati ad esperimenti scientifici. Qui troviamo una canzoncina al fiele, Every sperm is sacred, che trasforma il set in un palcoscenico da operetta alla Gilbert & Sullivan. Dopo i forsennati ritmi da musical, Il miracolo della vita si chiude spostando il mirino sulla presunta superiorità del protestantesimo. Il secondo capitolo, intitolato Crescita e apprendimento, attacca la vacuità dei rituali religiosi per poi spostare il tiro sui metodi pedagogici, con una vera lezione sessuale tenuta in una classe dove, nonostante l'interessante "argomento", la concentrazione è dura da mantenere. Una partita di rugby politicamente scorretta ci proietta di seguito alla parte terza, Combattersi l'un l'altro, gustosissimo apologo sull'esercito, sulle guerre e sul colonialismo (con una guerra agli Zulu combattuta per qualche istante a Glasgow, a causa dei sottotitoli errati...). Ad un breve intermezzo denominato spudoratamente La metà del film, segue la parte quarta denominata La mezza età, in cui si attaccano questa volta i pensionati che vanno in vacanza in posti esotici (qui simboleggiato da un ristorante hawaiano ricostruito all'interno di una segreta medievale inglese...). Trapianto di organi vivi (parte quinta) è un capitolo dall'inequivocabile attribuzione, in pieno ambiente splatter, ma con uno dei momenti più toccanti (se così si può definire) del film: la novella vedova è portata a spasso nel cosmo da una specie di spirito guida uscito da un frigorifero che, cantando la deliziosa Galaxy Song, invita la donna a donare "volontariamente" anche lei il suo fegato, seguendo l'esempio "forzato" del marito. A questo punto ritorna la ciurma della Crimson ad attaccare arbitrariamente il film dei Monty Python che, respinto l'attacco, portano a conclusione il film con gli ultimi due capitoli: Gli anni del declino e La morte. La parte sesta è sicuramente la più esaltante e da voltastomaco, nel vero senso del termine. Il gigantesco signor Creosote (un Terry Jones truccato in modo impressionante) fa il suo ingresso in ristorante per spargere a destra e a manca il suo vomito, come un improbabile gourmet a rovescio, fino a farsi esplodere. La morte presenta un produttore cinematografico maschilista condannato a morte da procaci ragazze in topless, un albero animato che perde foglie suicide e, infine, la morte in persona, il tristo mietitore che traghetta alcuni malcapitati direttamente in paradiso, dove ogni giorno è Natale. Qui incontriamo tutti i personaggi del film, tra showgirls in stile Crazy Horse e i Re Magi che portano doni servendosi del carrello della spesa. L'addio alla vita, o meglio, ai tanti sensi della vita (o forse nessuno, il che fa lo stesso nella logica di John Cleese e soci) non poteva che essere più brillante ed irriverente per i Monty Python. Anche se la stessa folle compagnia ha definito il film in questione come il loro più debole: si tratta dell'ennesimo sberleffo?