Da Satoshi Kon a Nakagawa: il Giappone trionfa a Bologna.

La presentazione del primo libro dedicato in Italia a uno dei grandi dell'animazione mondiale è stata, insieme alla retrospettiva di un cineasta assolutamente da riscoprire come Nobuo Nakagawa, tra gli eventi memorabili di questo Future Film Festival.

Nei nostri resoconti del Future Film Festival le novità provenienti dal Giappone hanno tenuto banco, a partire dal lungometraggio di Masahiro Ando poi premiato con una menzione speciale: Sword of the Stranger, che con le sue sfide in salsa western tra samurai e altri potenti guerrieri ha tenuto alta la bandiera dell'animazione nipponica. Qualche lieta sorpresa ci è giunta anche dal fronte delle mini-serie, con la nuova produzione della Mad House dedicata al mito di Kyashan, Casshern Sins di Shigeyasu Yamaguchi, ad impressionarci favorevolmente.
Insomma, come ogni anno la vivacità di tale cinematografia ha saputo imporsi nelle giornate bolognesi del Future Film Festival quale ingrediente primario, per una perfetta riuscita della manifestazione. Anche per questo, al momento di tracciare un bilancio, abbiamo deciso di soffermarci su due episodi particolarmente vicini alla sensibilità di una parte del pubblico, quella che con passione davvero encomiabile segue tutto ciò che di valido il paese del Sol Levante riesce a produrre. Assai diversi tra loro ma con una identica capacità di suggestionare, gli eventi in questione sono la ricca retrospettiva dedicata a Nobuo Nakagawa, pioniere del cinema giapponese di genere, e la presentazione del libro Satoshi Kon, prima monografia pubblicata in Italia su un grande dell'animazione mondiale, i cui lavori proprio a Bologna hanno sempre beneficiato di un'eccellente vetrina. Ed è da lui che possiamo partire.

La situazione in Italia non può certo definirsi rosea, eppure, mentre fino a pochi anni fa persino i capolavori di Hayao Miyazaki faticavano a trovare visibilità nel nostro paese, qualche spiraglio in più sembra essersi aperto, anche a livello distributivo, per i più importanti lungometraggi di animazione realizzati dai vari Mamoru Oshii, Katsuhiro Otomo e, per l'appunto, Satoshi Kon. Ma a parte il piccolo miracolo dell'uscita in sala di Tokyo Godfathers e Paprika, in tempi recenti il genio visionario di Satoshi Kon è stato gratificato della dovuta attenzione soprattutto a Bologna, dove il Future Film Festival continua a dimostrare per l'autore grande considerazione; molteplici gli attestati di stima, dal focus realizzato qualche anno fa, che permise ad un pubblico più ampio di familiarizzare con opere straordinarie come Perfect Blue e Millennium Actress, fino alla più recente presentazione di una serie a episodi, Paranoia Agent, la cui natura destabilizzante non è certo passata inosservata.

Naturale, quindi, che una delle prime presentazioni ufficiali del corposo testo a lui dedicato abbia avuto luogo durante le giornate del Future. Enrico Azzano e Andrea Fontana, curatori insieme a Davide Tarò del libro edito da Il Foglio Letterario, hanno insistito sugli elementi che rendono la poetica del regista giapponese così personale e stratificata, mentre sullo sfondo scorrevano le immagini di Millennium Actress. Trattandosi di un'opera collettiva, sono stati coinvolti anche alcuni tra gli autori dei singoli saggi, a partire dal giovane critico Raffaele Meale; sia lui che gli altri hanno commentato con entusiasmo aspetti specifici di quei lavori particolarmente maturi, in cui il piano della realtà e quello del sogno si intrecciano vorticosamente, spalancando talvolta le porte a un universo meta-cinematografico rivisitato in modo niente affatto scontato.
C'è stato spazio anche per qualche condivisibile nota polemica, in particolare da parte di un determinatissimo Enrico Azzano, il quale si è lamentato più volte di come in Italia siano relativamente poche le pubblicazioni di rilievo sui grandi dell'animazione nipponica; anche in considerazione di quanto sia cresciuto il divario tra un pubblico che si appassiona sempre di più a certe proposte e una critica troppo spesso impreparata, distratta, incapace comunque di riconoscere il valore dell'animazione. Touché. Anche noi, del resto, pensiamo che questo divario vada colmato il prima possibile.

L'altro evento speciale su cui si è concentrata la nostra attenzione è stato, come ricordavamo in apertura, il ricco omaggio a un grande artigiano del cinema di genere, il "Master of Horror" Nobuo Nakagawa. Già, sono parecchi gli appassionati che si sono dati appuntamento al cinema Lumiere per riscoprire autentiche chicche come The Ghosts of Kasane Swamp (Kaidan Kasane ga fuchi, 1957), Black Cat Mansion (Borei Kaibyo yashiki, 1958), The Lady Vampire (Onna Kyuketsuki, 1959), Hell (Jigoku, 1960), scelti insieme ad altri titoli in rappresentanza di una filmografia particolarmente prolifica come quella del regista giapponese, scomparso nel1984. Chi apprezza oggi le inquietudini offerte dai film di Hideo Nakata e Shinya Tsukamoto, solo per citare gli autori di maggior spessore, ha potuto così rintracciare le spore delle loro visioni angoscianti nelle produzioni dal sapore cormaniano di questo infaticabile cineasta, capace di mescolare l'immaginario orrorifico con l'intensità di soluzioni melodrammatiche, da cui si sviluppa un pathos profondo.

Di questo e di molto altro ancora abbiamo parlato col suo storico aiuto regista Kensuke Suzuki, ospite del festival. Da una conversazione durata, grazie all'affabilità del personaggio, più di mezz'ora, abbiamo provato ad estrapolare alcuni spunti che ci aiutino a definire il profilo del suo maestro.

A tratti si ha l'impressione che quelli di Nobuo Nakagawa siano quasi film melò travestiti da horror, focalizzati magari sui drammi di personaggi femminili; lei che ne è stato a lungo l'aiuto regista cosa ne pensa? E il grande Kenji Mizoguchi costituiva forse un modello, per certi intensi ritratti di donna?

Kensuke Suzuki : Riguardo a quest'ultima osservazione ritengo che la sua visione della donna fosse un po' differente da quella di Mizoguchi. Le figure femminili di Mizoguchi sono rappresentate soprattutto all'interno della relazione con l'uomo, probabilmente sono più coinvolte nelle passioni amorose, spinte talvolta all'estremo, portando così a ritratti ancora più afflitti, dolorosi, rispetto a quelli di Nakagawa; lui, che tra l'altro aveva due figlie, si sentiva invece più portato a sottolineare le dinamiche famigliari, in particolar modo il rapporto quotidiano con i propri cari e i sacrifici che le donne affrontano per la famiglia.

Nei suoi film si notano tanti riferimenti diversi, anche di natura pittorica, che in un film come Jigoku (Hell) fanno pensare a un'impronta surrealista per i cromatismi esasperati e per i soggetti rappresentati nella discesa agli Inferi del protagonista, con ulteriori richiami alla tradizione buddista. Cosa ci può dire in proposito?

Kensuke Suzuki: Per quanto riguarda Jigoku senz'altro Nakagawa si è ispirato alle rappresentazioni dei diversi inferni nella pittura giapponese. Mentre per un altro film che avete visto qui a Bologna, I fantasmi di Yotsuya del Tokaido (Tokaido Yotsuya Kaidan, 1959), la protagonista che prima veniva ritratta con uno sfregio sul viso viene ripulita e la si vede salire in cielo tra le nuvole, come in certe raffigurazioni del Budda tra le quali vi è anche l'immagine tradizionale che lo aveva ispirato, di cui teneva addirittura una copia incollata alla sceneggiatura! In realtà portava sempre con sé una collezione di immagini, spesso ritagliate da giornali e riviste, che lo guidavano nel suo lavoro.

Quali sono invece i riferimenti letterari che hanno influito di più sulle sue opere? Vi è solo l'impronta di una letteratura giapponese di genere o anche modelli occidentali, tipo Edgar Allan Poe?

Kensuke Suzuki: Per quanto riguarda la letteratura di genere giapponese sono diversi gli autori che Nakagawa leggeva volentieri, di cui alcuni contemporanei, altri attivi nel periodo medioevale (n.d.r. e per venire incontro alla nostra curiosità si ferma ad annotare alcuni nomi su un foglio, utilizzando prima i caratteri della scrittura giapponese - kanji - e poi quelli occidentali).
Ma ovviamente leggeva anche scrittori di altra provenienza come Edgar Allan Poe, dato che le sue opere erano già state tradotte.
C'è da dire che Nakagawa stesso in gioventù aveva sognato di diventare uno scrittore, ma, avendo poi rinunciato a laurearsi per colpa delle difficoltà economiche che attraversava la sua famiglia, finì con l'indirizzare i propri interessi verso altre attività. Ad ogni modo ha sempre mantenuto nel cuore questo suo desiderio, diventare scrittore, anche quando ha cominciato ad occuparsi di cinema.

Sempre riguardo a possibili influenze occidentali, Nakagawa conosceva il cinema di Roger Corman? Vi era qualche suo film che apprezzava particolarmente?

Kensuke Suzuki: Sì, in Giappone i film di Corman uscivano regolarmente, penso che ne fosse suggestionato ma sinceramente non ricordo più certi particolari, quali dei suoi film avesse visto e cosa gli fosse piaciuto.
Mentre prima mi sono dimenticato di dire che c'è anche Ozu, con la sua attenzione per la sfera quotidiana, tra i registi che lui amava molto.