Recensione Spanglish (2004)

Di Spanglish rimangono impressi nella memoria questi momenti belli e commoventi, e ci si dimentica con soddisfazione dei tanti altri difetti da cui sono circondati.

Cuore di madre

Abbandonata dal marito, la giovane e bellissima Flor emigra dal Messico negli Stati Uniti con la figlia Cristina, stabilendosi a Los Angeles. Dopo alcuni anni trascorsi tra conterranei, all'interno della comunità latina di Los Angeles, Flor trova lavoro come governante presso i Clasky, una famiglia benestante ma piena di problemi. La signora Clasky è una donna nevrotica, egocentrica e iperagitata, il marito è uno chef di successo con l'unica ambizione di vivere una vita serena e tranquilla. Hanno due figli, un'adolescente sovrappeso ed insicura e un bambino apparentemente tranquillo, e con loro vive la mamma di lei, ex cantante jazz con un debole per la bottiglia. L'incontro tra Flor e i Clasky (e tra le loro due culture e stili di vita) poterà a grandi riflessioni modificazioni riguardanti le esistenze di tutti, specialmente quando nel corso di un soggiorno estivo a Malibù Flor sarà costretta a vivere nelle stessa casa dei suoi datori di lavoro insieme alla figlia.

Scritto, prodotto e diretto da James L. Brooks (quello di film come Voglia di tenerezza e Qualcosa è cambiato), Spanglish è un film ipertrofico e sovrabbondante, con la pretesa di raccontare ben più di uno spaccato di vita e di toccare un numero molto elevato di temi: dall'emigrazione messicana in USA e il conseguente scontro/incontro di culture, alla crisi famiglia borghese americana, dall'egotismo derivanti dalle nevrosi contemporanee alle difficoltà dell'amore, dal rapporto tra datore di lavoro e sottoposto a quello tra genitori e figli.
Se questa sovrabbondanza non è certo un pregio, visto che una sceneggiatura e una regia curate solo a tratti non riescono a sviluppare e esaltare temi e situazioni in maniera uniforme e adeguata, bisogna riconoscere che del buono nel film di Brooks c'è, e quel buono non è certo dovuto alla legge dei grandi numeri.
In un film nel complesso ben interpretato da tutti i protagonisti (da una Tea Leoni funzionalmente odiosa a un Adam Sandler efficacemente contenuto), spicca Paz Vega, e non solo per la sua indubbia avvenenza. L'attrice spagnola, qui alla sua prima esperienza hollywoodiana, dimostra di avere tutte le carte in regola - sia fisicamente che recitativamente - per scacciare dal trono di reginetta spagnola di Hollywood la sopravvalutatissima Penelope Cruz. È lei il vero cuore pulsante del film ed è su di lei che si è concentrata con i migliori risultati l'attenzione del Brooks sceneggiatore e regista.

Flor è un bellissimo personaggio, ritratto perfino struggente di una donna e di una madre, conscia fino all'ultima sua cellula della necessità di conservare e tramandare valori oramai obsoleti in questo mondo come l'etica, l'onore, il sacrificio, l'umiltà e forse soprattutto il rispetto di sé e degli altri. Questi valori vengono raccontati attraverso ogni gesto e ogni parola di Flor, ma ovviamente soprattutto attraverso il suo rapporto con la figlia, a tratti conflittuale proprio per queste necessità etiche e morali, fino ad un drammatico e coinvolgente incontro/scontro finale.
Ma è forse nella storia d'amore rigorosamente platonica di Flor con John Clasky che il personaggio e il film tutto raggiungono i punti migliori di poesia e delicatezza: un innamoramento lento e raccontato con estremo garbo e un ultimo, struggente incontro di una notte dove fuori da ogni logica pulsionale e istintiva un uomo e una donna scelgono, costringono sé stessi a sublimare i loro sentimenti attraverso la vicinanza spirituale e le parole. Parole pesanti come macigni sugli stomaci e sui cuori dei protagonisti e degli spettatori, come quelle che Flor pronuncia prima di poggiare i piedi per terra (metaforicamente e non) in questa scena chiave del film.

Di Spanglish rimangono quindi impressi nella memoria questi momenti belli e commoventi, e ci si dimentica con soddisfazione dei tanti altri difetti da cui sono circondati, dalla prolissità della sceneggiatura all'eccessiva caricaturalità che contraddistingue alcuni personaggi, all'eccessiva voglia di semplificare (o addirittura trascurare) molti degli altri temi comunque gettati sul piatto.