Recensione Il rapinatore (2010)

Tratto da un romanzo austriaco, a sua volta ispirato a una storia vera, il film del tedesco Johann Rettenberger, in concorso al Festival di Berlino, finisce per risultare un'opera incerta, come sospesa tra le intenzioni di realizzare un film di genere e la dimensione metaforica della storia.

Corri, uomo corri

Johann Rettenberger corre. Concepisce la sua vita come un'interminabile, frenetica, incessante fuga, forse proprio perché è appena uscito di prigione, dove non ha fatto altre che allenarsi a correre su un tapis roulant all'interno della propria cella. Johann Rettenberger è un rapinatore. Ma anche un maratoneta. Queste sono le uniche due attività che pratica, ma si impegna in entrambe con la medesima energia, precisione e determinazione. Johann cronometra tanto i suoi tempi di corsa, quanto quelli di fuga dalla polizia. Per lui non esiste distinzione. Non c'è nessuna regola o remora sociale (incluso il rispetto per la vita altrui), nessun legame sentimentale (incluso quello per la fidanzata Erika) che può ostacolare il raggiungimento dei suoi obiettivi.

Il tema del furto come espressione di un disagio esistenziale (e finanche metafisico) ha da sempre affascinato il cinema, almeno da Pickpocket in poi. Anche la maratona, sport metaforico e narrativo per eccellenza, ha spesso stuzzicato l'ispirazione di numerosi registi, in particolare all'interno di un contesto di genere (non serve citare Il maratoneta per dimostrarlo). Il regista tedesco Johann Rettenberger tenta di intrecciare entrambi gli elementi in questo adattamento di un romanzo dell'autore austriaco Martin Prinz, incredibilmente basato su una storia vera. Si tratta però di suggestioni che finiscono per rimanere solo sulla carta.
Lo stile di regia algido e impersonale di Rettemberg, infatti, rende The Robber un'opera incerta, come incapace di orientarsi tra diverse direzioni: opera di genere "pura", riflessione metaforica sulla fuga come condizione esistenziale, analisi sul condizionamento sociale alle origini del comportamento deviante. Il film purtroppo non riesce a essere del tutto convincente da nessuno di questi punti di vista: incapace di costruire la suspense nell'interminabile fuga che chiude il film, ma anche poco incline all'approfondimento delle motivazioni psicologiche e sociali alla base delle scelte del protagonista.
L'unico aspetto positivo che si può attribuire a The Robber è, semmai, la sua ricerca deliberata di costruire un personaggio quasi simbolico. L'impassibilità espressiva dell'attore protagonista Andreas Lust, del tutto coincidente con la maschera di lattice che indossa durante le rapine, serve quasi a delineare un'entità astratta, come se si trattasse della rappresentazione del concetto stesso di fuga.