Recensione Mai wei (2011)

Mai Wei è a tutti gli effetti un colossal di guerra in cui Kang Je-gyu è abile nel mettere in scena le battaglie, tirarsi indietro quando si tratta di mostrare i momenti più drammatici e cruenti, ma allo stesso tempo concedendo qualcosa allo spettacolo.

Corri Jun-shik, corri

Coreani e Giapponesi, due popoli così vicini eppure resi distanti da tanti avvenimenti verificatisi nel corso della storia. E' così anche per Jun-shik e Tatsuo, diversi per estrazione sociale e perchè, appunto, di nazionalità rispettivamente coreana e giapponese, ma uniti dalla passione per la corsa che rappresenta il loro comune percorso di vita, dal primissimo incontro da ragazzini nel 1938 all'ultimo momento insieme dopo aver affrontato le molteplici avversità di un conflitto drammatico e cruento come la Seconda Guerra Mondiale, dalla Corea alla Russia, alla Germania fino alla Normandia al momento del noto sbarco degli alleati del 1944.
La loro è la storia narrata in Mai Wei di Kang Je-gyu, al ritorno dietro la macchina da presa dopo sette anni da Brothers of war - Sotto due bandiere per dirigere quello che è a tutti gli effetti un colossal di guerra, il primo in Corea ad occuparsi del secondo conflitto mondiale. Una storia che si ispira a fatti reali, ed in particolare al ritrovamento della foto di un uomo orientale con indosso la divisa tedesca, la storia di un uomo che è stato soldato giapponese, russo e tedesco durante la guerra e che è già stata oggetto di un documentario sulla televisione coreana.

Da avversari ad amici, il viaggio dei due ragazzi non è immediato, ma il loro è un rapporto che si basa sulla speranza, quella che ognuno dei due sa dare all'altro con il proprio atteggiamento e comportamento, i propri sogni ed ideali, da quando l'uno, Tatsuo, è superiore dell'altro a quando entrambi sono reclusi in un campo di prigionia russo, a quando infine arrivano a vestire la divisa tedesca nell'ultima fase della guerra, quella che li porterà finalmente ad avvicinarsi.
E' il filo conduttore di un film che ha però scopi più ambiziosi, che fornisce uno spaccato di quello che è stato il conflitto che fa loro da background e soprattutto la condizione di chi ne ha preso parte, in particolare di quei soldati, come i Coreani, che hanno combattuto sotto la bandiera di altre nazioni, a cominciare dal Giappone che li controllava all'epoca.
Kang Je-gyu è abile nel mettere in scena le battaglie, tre in particolare quelle rappresentate su schermo: quella tra Giapponesi ed esercito mongolo-russo, quella tra esercito sovietico e truppe tedesche ed infine il già citato sbarco in Normandia. Lo fa senza tirarsi indietro quando si tratta di mostrare i momenti più drammatici e cruenti, ma allo stesso tempo concedendo qualcosa allo spettacolo, ricercando inquadrature ad effetto e tecniche all'avanguardia.
E' infatti evidente su schermo il rilevante budget usato dalla produzione per la ricostruzione degli scontri e delle diverse location in cui si muovono i protagonisti, ma il regista non si limita a puntare tutto sull'impatto visivo e riesce ad accompagnarlo ad almeno un paio di aspetti di grande interesse: da una parte una riflessione sull'incapacità umana di gestire il potere, mostrandoci la deriva e gli eccessi di tutti quelli che si trovano a ricoprire posizioni di comando; dall'altra il modo in cui il comportamento di ognuno dei due protagonisti, la forza di volontà di Tatsuo nel seguire i propri ideali e la dedizione di Jun-shik nel perseguire il proprio sogno di correre ed essere un maratoneta, riesce ad influenzare e sorreggere l'altro nei momenti di maggiore difficoltà.
Lungi dal limitarsi ai soli Jun-shik e Tatsuo, gli intensi Jang Dong-Kun e Jô Odagiri, ed alla loro amicizia, la storia di Mai Wei si completa di una carrellata di personaggi che le danno spessore. Non tutti hanno lo spazio necessario per risultate tridimensionali e reali quanto i due protagonisti, ma contribuoscono a completare un quadro complesso ed articolato che mostra un lato della Seconda Guerra Mondiale in buona parte inedito.

Movieplayer.it

3.0/5