Recensione Il caso dell'infedele Klara (2009)

Adattando per il grande schermo un romanzo del ceco Michal Viewegh, Faenza decide di raccontare l'ossessiva morsa della gelosia in una società dominata dalle nuove tecnologie.

Cornuto è contento

Adattando per il grande schermo un romanzo del ceco Michal Viewegh, Roberto Faenza decide di raccontare l'ossessiva morsa della gelosia in una società dominata dalle nuove tecnologie. Il protagonista del suo film sospetta di infedeltà la sua donna e per scoprire la verità si reca da un detective, la cui vita privata è spesa tra una relazione di coppia aperta e un amore malcelato per la propria assistente. Il film si azzarda a dire grandi verità: il tradimento è ormai una tappa obbligata in ogni relazione, la passione non può essere controllata, ma l'amore ci salverà sempre e comunque. Gli uomini si fanno il proprio destino, lo modellano e lo peggiorano seguendo il proprio istinto autolesionistico? Per Faenza sembra essere così e per dircelo ci porta in una Praga che dovrebbe farsi teatro di passioni e sentimenti, perché poi le corna si fanno in Italia, e in particolare a Venezia.

Dopo diversi episodi non esaltanti, molti professionisti del settore inizierebbero forse a ripensare la propria idea di cinema. Non Roberto Faenza, che prosegue imperterrito per una strada che non ammette alcun compromesso, mostrando una seriosità che rischia qualche volta di sconfinare in quel pericoloso territorio dell'umorismo involontario che ridimensiona inevitabilmente la portata dei suoi discorsi. Il suo nuovo film, Il caso dell'infedele Klara, lamenta lacune in molteplici aspetti, dalla messa in scena poco brillante, che tenta di integrare in sé gli orizzonti delle nuove tecnologie, alla sceneggiatura mai del tutto efficace, vittima di una certa mancanza di innovazione, dalla recitazione sbrigliata dei protagonisti, poco abili a a centrare il tono giusto, a un doppiaggio piuttosto infelice che penalizza la fruibilità del prodotto. E poi c'è il tema del film, che ci rivela che in certi casi di gelosia si può sopravvivere se le corna ci sono e si vedono.
Il regista torinese non fa mistero delle sue alte ambizioni, provando a fornire a tutto quello che mette in scena un senso più alto di quanto in realtà non abbia. In verità, i dialoghi "d'amore" del film sembrano ricavati da un romanzo d'appendice, alcune battute 'definitive' esprimono sostanziali banalità, e la mancata calibratura degli elementi in ballo priva la pellicola di quella tensione o passione necessarie a renderlo appetibile. Non mancano i tentativi di stuzzicare lo spettatore con scene erotiche, con tanto di nudo integrale di una Laura Chiatti che manca ancora della sensualità necessaria a giustificarle. E alla fine c'è il sentore di un'impotenza che non coglie solo un incolpevole Claudio Santamaria, incapace di far l'amore con la sua donna perché divorato dai dubbi, ma anche di un racconto che non ingravida mai con i propri spunti e di dinamiche mal rappresentate che raccontano sentimenti troppo artefatti.