Recensione Lords of Dogtown (2005)

Vivaci spaccati di vita familiare si alternano a spettacolari riprese delle evoluzioni degli skaters riuscendo a restituire delle figure a tutto tondo, complesse e ben caratterizzate.

Con tutte le rotelle a posto

Alla fine degli anni '60 un gruppo di surfisti di un miserabile sobborgo di Los Angeles, Dogtown, conquista la notorietà e le prime pagine delle riviste portando una ventata di novità nel mondo dello skateboard. Ma la vita degli Z-Boys (i membri dello Zephir Team, la squadra di surf e skateboard fondata dal loro mentore pigmalione Skip) non è tutta solo rose e fiori; dietro i lustrini e le immagini patinate, dietro le feste, le donne e il successo, si nascondono i drammi di famiglie disagiate, le incomprensioni generazionali, il difficile rapporto con la notorietà e i soldi, le delusioni d'amore, la perdita di un'amicizia che sembrava incrollabile, le insicurezze di ragazzi giunti troppo presto alla ribalta.

Catherine Hardwicke, a quattro anni dall'uscita del bel documentario di Stacy Peralta Dogtown and Z-Boys (uscito quest'anno in Italia e ancora visibile nelle sale) riporta sullo schermo le giovani vite di Jay Adams, Tony Alva e Stacy Peralta, basandosi su uno script dello stesso Peralta. Il risultato è un piacevole mix tra un teen movie adolescenziale e un film sportivo in cui le due diverse anime sono efficacemente mixate con un giusto equilibrio fra scene d'azione e momenti d'ispirazione più intimista.

Vivaci spaccati di vita familiare si alternano a spettacolari riprese delle evoluzioni degli skaters riuscendo a restituire delle figure a tutto tondo, complesse e ben caratterizzate. La naturale malinconia di John Robinson (già visto in Elephant) è esaltata dall'abilità con cui la Hardwicke riesce, opportunamente, a ripiegare negli angoli più bui e autentici delle coscienze non cedendo mai alla tentazione di lasciarsi cadere preda delle tentazioni di una facile agiografia, o di far rimanere schiacciato il suo film dal peso della leggenda. Perché di questo, di una vera leggenda vivente, stiamo parlando anche se lontana dalla nostra sensibilità. Il film risulta nel complesso ugualmente godibile sia dagli appassionati di skateboard, che ricaveranno ulteriore motivo di piacere dal gioco di confronto col documentario di cui sopra, che da un pubblico ignaro.

Certo l'accostamento alle immagini originali non potrà non far notare un certo abuso di artifici prettamente cinematografici nella resa della spettacolarità delle evoluzioni, spettacolarità che peraltro sfiora solo da lontano quella autentica del materiale d'epoca raccolto da Peralta. Ma se il punto era riuscire sfuggire a un'estetica trionfalistica e muscolare che avrebbe sicuramente visto uscire con le ossa rotte il suo lavoro, cercando l'intensità e il pathos anche lontano dal cemento, allora la Hardwicke lo ha centrato in pieno.

La pellicola è impreziosita da alcuni camei dei veri protagonisti, che si riservano piccole e per niente invadenti apparizioni ad uso degli addetti ai lavori. Notevole la breve comparsa di Tony Hawk, stella mondiale dello skatebard contemporaneo, nei panni di un'astronauta (il futuro) ridicolmente impacciato nel tentativo di provare la tavola del giovane Stacy. Fu proprio Peralta a scoprire Tony Hawk e a portarlo alla ribalta designandolo come suo naturale successore.

Alcuni momenti pericolosamente melodrammatici non giungono all'eccesso e contribuiscono a consolidare la generale impressione di grande equilibrio e buona scrittura. Alla fine è forse addirittura troppo calcato il pudore con cui Lords of Dogtown rifugge l'epica del mito, ma del resto il giocare sullo stesso terreno di un altro film così recente (che riusciva a rendere sopportabile il debordante trionfalismo solo in virtù del suo statuto di documentario) e così apprezzato sarebbe stata un'operazione inevitabilmente votata al fallimento.