Recensione Vero come la finzione (2006)

Le considerazioni metalinguistiche e le ipotesi filosofiche lasciano spazio sufficiente a una semplicissima e immediata storia d'amore che convince grazie all'ottima chimica tra Ferrell e Gyllenhaal.

Come un romanzo

Harold Crick è un agente dell'Ufficio imposte. Il quale, incredibile dictu, ama il suo lavoro; anzi, i numeri lo accompagnano dal moneto del risveglio ogni mattina da dodici anni, quando conta i passaggi dello spazzolino su ogni singolo elemento della sua dentatura. Per poi continuare a far di conto per gran parte della sua giornata, che ha a che fare con i numeri molto più che con le persone, a parte quelle che incontra per i suoi accurati controlli fiscali. Ma qualcosa cambia quando Harold incontra un evasore un po' particolare: Ana, graziosa fornaia che rifiuta di pagare le sue tasse, almeno la percentuale di esse che serve a finanziare armamenti e operazioni militari.
Il problema di Harold è che Ana non è l'unica donna che è prepotentemente entrata nella sua vita. Quella mattina, infatti, mentre eseguiva la consueta e geometrica pulizia dentale, la voce di una signora dall'accento britannico ha iniziato a risuonare nella sua testa. Una voce che sembra raccontare proprio i suoi gesti e i suoi pensieri, e che lui soltanto è in grado di udire. Invece di rivolgersi a uno psichiatra, Harold chiede aiuto di un professore di letteratura, grazie al quale scoprirà l'arcano: la voce è quella di una scrittrice, Karen Eiffel, e lui è il protagonista del romanzo a cui sta lavorando ("Death and Taxes"). Ora, i romanzi di Karen finiscono tutti tragicamente, con la morte dell'eroe, e dell'imminente decesso di Harold la narratrice ha già fatto menzione...

Lo sceneggiatore di Vero come la finzione, Zach Helm, classe 1975, è il presunto "nuovo" Charlie Kaufman, ma dei vulcanici e originalissimi script kaufmaniani questo ha davvero molto poco. Le atmosfere del film, delicatamente surreali e malinconiche, e i dilemmi del protagonista fanno pensare immediatamente a tutto un altro modello: The Truman Show di Peter Weir. E anche qui, siamo costretti ad ammettere che il lavoro di Marc Forster è ben lontano dalla lucidità e dalla maestria di Weir (nonché, ça va sans dire, dalla visionarità dei registi che hanno portato sul grande schermo le sceneggiature di Charlie Kaufman): dopo un approccio iniziale accattivante e promettente, la regia ritorna nei ranghi di una maldestra banalità. A salvare la baracca ci pensa Will Ferrell, in quella che è probabilmente la sua migliore interpretazione di sempre: compassata, minimale, umanissima. Efficaci ed eloquenti controparti femminili sono Emma Thompson e Maggie Gyllenhaal, mentre Queen Latifah sembra servire soltanto a suggerire solidità accanto alla fragile, vagamente psicolabile ma talentuosa scrittrice interpretata dalla Thompson. Non indimenticabile, ma sempre da par suo, la prestazione di Dustin Hoffman nei panni dell'accademico che si occupa della "esegesi" del romanzo che si rivela essere l'esistenza di Harold.
Di fatto, le considerazioni metalinguistiche e le ipotesi filosofiche lasciano spazio sufficiente a una semplicissima e immediata storia d'amore che convince grazie all'ottima chimica tra Ferrell e Gyllenhaal, e tanto basta a fare di Vero come la finzione un film che, alla lunga, pur senza stupire o strappare applausi, qualche emozione la regala.

Movieplayer.it

3.0/5