Recensione Adorabili amiche (2010)

E' la vena malinconica che serpeggia sotto la superficie spensierata l'ingrediente in più di un film che guarda con sincera dolcezza a questo magnetico tris di figure femminili.

Come Thelma e Louise

Quando la vita dà più di una motivazione per partire, lasciarsi alle spalle una realtà non proprio esaltante, almeno solo per qualche giorno, l'occasione deve essere presa al volo. E' quello che fanno Nelly, Chantal e Gabrielle, tre cinquantenni francesi deluse a vari livelli dalla propria routine quotidiana. Goffa insegnante d'inglese la prima, appesantita promoter di immangiabile cioccolata la seconda, sensuale donna a caccia d'amore l'ultima; insieme partono a bordo della DS di Gabrielle per partecipare al matrimonio dell'uomo che in qualche modo le aveva fatte sognare, Philippe, un bellimbusto che in un atto supremo di narcisismo decide di invitarle alle sue nozze con l'odiosa Tasha. Il contrasto tra una giovinezza spensierata e idealizzata e un presente quanto mai problematico, corredato da mariti anaffettivi e figli nei guai, subito si acuisce, costringendo tutte a rivedere gli errori fatti, i treni mai afferrati, le opportunità sfumate.


Dopo due anni di attesa arriva anche in Italia Adorabili Amiche, in originale Thelma, Louise et Chantal, diretto dal regista, sceneggiatore e attore francese Benoît Pétré, famoso in patria per gli sketches su Canal+ con il gruppo teatrale dei Quiches, qui al suo debutto dietro alla macchina da presa. Costruita su di uno schema che più saldo non si può, quello del road movie esistenzial-femminile, la commedia è l'agrodolce disamina dei fallimenti di un gruppo di donne irrisolte nonostante l'età matura; non c'è perfidia nell'approccio del regista, ma una simpatia non di facciata verso dei personaggi con cui si solidarizza in fretta, in virtù della grande quantità di fregature date e ricevute. Ed è proprio la vena malinconica che serpeggia sotto la superficie spensierata l'ingrediente in più del film, che guarda con sincera dolcezza a questo magnetico tris di figure femminili. Non c'è traccia insomma dello spirito nerissimo e della ribellione delle 'vere' Thelma e Louise, ma solo l'energica presa di coscienza delle proprie manchevolezze, con un bonario invito a riprendere quanto perso prima che sia troppo tardi. Detto questo però sono tanti gli elementi irrisolti di un'opera che non riesce a portare avanti le buone premesse, disperdendo strada facendo l'indubbio potenziale del racconto. Per quanto semplice possa essere, infatti, ogni viaggio contiene un barlume di speranza, un desiderio di cambiamento, la voglia di trasformare quanto si riteneva immobile, ancora di più se chi lo compie sono donne che hanno ancora tanto da dare.

Pétré sembra mettere tra parentesi questo elemento narrativo portante, fermando la sua ricerca ben prima del traguardo auspicato, senza approfondire la realtà umana delle tre protagoniste. E' forse più facile da gestire per lui l'aspetto 'patetico' della storia a cui però non sa far corrispondere una sanissima e umoristica catarsi. Manca insomma quel miracoloso e difficile equilibrio tra toni nostalgici e leggerezza, vero segreto di ogni commedia riuscita. In particolare l'assenza di momenti comici veri e propri, congelati nella famigerata festa di matrimonio che in realtà non ha alcun valore liberatorio, finisce per rallentare lo svolgimento di una storia che zoppica vistosamente verso un finale stiracchiato e prevedibile. Le tessere del mosaico si mettono dunque al posto giusto, ma senza dare allo spettatore la sensazione di aver davvero compiuto un percorso, più o meno importante, al fianco delle protagoniste. Per arrivare alla conclusione che ci si innamora spesso delle persone sbagliate e che per uno stranissimo motivo quelle persone continuano a tormentare il malcapitato di turno (spingendolo ad andare persino al matrimonio dell'amato bene per vedere l'effetto che fa), si poteva evidentemente passare per un'altra strada; o almeno tentare di vivacizzare un po' il momento.
Non giovano all'operazione le sequenze al ralentì, piuttosto inutili e abusate, e la poca originalità nel descrivere le singole vite di Nelly, Gabrielle e Chantal, molto più interessanti nelle loro fragilità di quanto non sembrino nel lavoro di Pétré. Se il personaggio di Gabrielle appare fin troppo sopra le righe, con la sua sensualità debordante, ben incarnata da Caroline Cellier, e Chantal, Catherine Jacob, rappresenta la maschera più dolente e disperata, nonostante i tic e le manie (ad esempio la consuetudine di custodire gelosamente le ceneri dei propri cagnolini), è il ruolo della buffa Nelly, la sempre bellissima Jane Birkin, quello più intrigante ed enigmatico. Eppure, in un film in cui si privilegia l'azione scontata al reale approfondimento, poco continueremo a sapere di loro.

Movieplayer.it

2.0/5