Come non detto: quando il coming out è tutto da ridere

Abbiamo incontrato Ivan Silvestrini e Roberto Proia, rispettivamente regista e sceneggiatore di un film che offre una visione leggera ma mai superficiale di un momento temuto e sofferto dai giovani gay, non senza risvolti tragicomici.

E' possibile ridere dei dubbi e delle incertezze che accompagnano il momento del coming out dopo averlo spogliato dei toni melodrammatici della tragedia esistenziale? Secondo Roberto Proia, per l'occasione sceneggiatore alle prime armi, non solo è plausibile ma, soprattutto, doveroso. A dimostrarlo è la sua commedia Come non detto che, realizzata dal regista Ivan Silvestrini, offre una visione leggera ma mai superficiale di un momento temuto e sofferto capace, però, di nascondere un'inaspettata natura tragicomica. Distribuito da Moviemax dal 7 settembre in più di 150 copie, il film segue le gesta confuse e disorganizzate di Mattia, giovane sentimentalmente inesperto e incapace di gestire con chiarezza il suo rapporto con il fidanzato Eduard. In suo soccorso, per salvarlo da un mondo folle costruito su continue menzogne, accorrono la drag queen Alba Paliettes, al secolo Giacomo, e una famiglia imprevedibilmente capace di dimostrare che spesso si fa molto rumore per nulla. A presentare questa commedia finalmente capace di unire ironia e riflessione al successo commerciale sono lo sceneggiatore, il regista e parte del numeroso cast formato dallo Josafat Vagni, Monica Guerritore, Francesco Montanari, Josè Dammert, Alan Cappelli Goetz e la nonna in carriera Lucia Guzzardi.

Come non detto rappresenta una commedia di grande respiro dallo stile internazionale che si discosta positivamente dal tipico prodotto italiano. Da quale fonte trae ispirazione questa vicenda così normale eppure rivoluzionaria? Roberto Proia: Tutto nasce da un'idea che ho avuto quattro/cinque anni fa. Fino a quel momento avevo notato che il tema del coming out era stato trattato in maniera meravigliosa, ma solo per quanto riguardava il lato tragico evitando così l'aspetto comico del momento. Partendo da questi presupposti ho cominciato a raccontare la storia di un ragazzo che si faceva condizionare dall'esterno, vivendo così una vita che non era la sua. Considerate che non avevo mai scritto un film in vita mia, ma avendo letto per lavoro più di cinquecento sceneggiature in dodici anni, ho pensato che anch'io, nel peggiore dei casi, sarei riuscito a scriverne una brutta. Una delle prime persone a leggerla è stato Andrea Occhipinti che mi avvisò dell'uscita di un progetto molto simile. Si trattava di Mine Vaganti che, pur avendo in comune il tema del coming out, vive però di atmosfere completamente diverse rispetto a Come non detto.
Ivan Silvestrini: Per quanto mi riguarda, sono molto contento di essere stato scelto da Roberto per realizzare questa storia e di aver coinvolto nel film tutto il cast. Credo di dovere molto al mio saggio di fine anno al Centro Sperimentale di Cinematografia.

Signor Proia, rispetto agli altri film con tematica omosessuale questa volta non ci troviamo di fronte ad un ambiente esterno dichiaratamente ostile nei confronti del protagonista. Al contrario, il peggior nemico di Mattia sembra essere solo la sua indecisione e il desiderio costante di non deludere le aspettative degli altri. Perché ha deciso di sorvolare sui difetti di una società omofoba? Roberto Proia: E' vero, nel film non c'e' alcun tipo di accusa alla società, fatta eccezione per il personaggio di Christian e la sua aggressività ingiustificata nei confronti di Mattia. Il fatto è che m'interessava di più' esprimere il concetto che, al di là di chi possa essere il tuo vicino di casa, l'accettarsi è una responsabilità personale. Evitando il sottile vittimismo utilizzato fino ad ora, dobbiamo convincerci che se non siamo i primi a volerci bene non possiamo aspettarci molto dagli altri. E' fondamentale partire da se stessi. Perché, se non riesci a cambiare ciò che pensano gli altri, puoi mutare la visione che hai di te. Questo è il percorso compiuto da Mattia grazie all'arrivo nella sua vita di Eduard. Alla fine della storia scoprirà di essere stato l'ultimo ad accettarsi.

Il film è interpretato da un cast numeroso che sembra essersi amalgamato con armonia per dare corpo a questo percorso di crescita tutto da ridere. Che cosa avete pensato nel leggere la sceneggiatura e come avete costruito i vostri personaggi? Ivan Silvestrini: Mattia lo sono andato a cercare nelle esperienze dei miei amici gay. In definitiva ho cercato di documentarmi, raccogliendo i racconti dei loro coming out, dei timori più o meno fondati e della reazione delle famiglie. Alla fine è uscita fuori l'immagine di un ragazzo normalissimo, pronto a sentirsi fuori posto sempre e comunque. Solo nella menzogna si trova benissimo anzi, più mente e più sembra averne bisogno come una specie di droga.
Monica Guerritore: Nel film anche la mia Aurora ha un suo personale coming out che la porta a liberarsi dei panni di madre ansiosa e moglie sottomessa. Si tratta di piccoli passi poco eroici compiuti da persone normalissime che, in tono di commedia, cercano un minimo di gloria. Fondamentale è capire che, a un certo punto, si dovrà deludere, sorprendere o convincere chi abbiamo accanto. Si tratta di un principio valido sia per un ragazzo obbligato ad affrontare la propria identificazione sessuale, che per una donna alle prese con un disordinato tentativo di personalizzazione. E alla fine si finisce come me, leopardata.
Francesco Montanari: Personalmente sono molto grato al personaggio di Giacomo, tintore di giorno e drag queen di notte, per avermi offerto l'occasione di indossare un tacco 14 e aver provato il brivido della ceretta. Per definire la sua personalità e il mondo che abita, ho frequentato le serate al Mucca Assassina, scoprendo un panorama artistico incredibile fatto di professionisti pronti a recitare ogni sera a soggetto. La mia Alba Paillettes esiste veramente, ma ho promesso di non svelare la sua identità.
Jose Dammert: Il mio personaggio è lo straniero. Si trova fuori dal cerchio famigliare e irrompe nella quotidianità di Mattia spingendolo a una consapevolezza non ricercata fino a quel momento. Eduard è molto sicuro di chi è e di ciò che ha. Da questo si capisce che ha avuto un outing tranquillo, senza ripercussioni. Dal punto di vista della narrazione, l'elemento estraneo è utilizzato per far comprendere come la cultura, la chiesa e il paese influiscono sulle decisioni del singolo.

I personaggi sono così ben amalgamati che alla fine del film ci si chiede come possa continuare, quale potrebbe essere il futuro di ogni protagonista. Considerando tutto questo, avete mai pensato di trasformarlo in una serie tv? Roberto Proia: Guardandolo è venuto in mente anche a me. Quando hai dieci personaggi in scena ami tutti con la stessa intensità, ma è inevitabile che alcuni di loro possano rimanere un po' in sospeso. Per ora abbiamo realizzato un film e un libro, Manuale del perfetto coming out. Certo, la storia potrebbe adattarsi ad altro, ad esempio vedrei bene un Mattia di Rivombrosa!