Recensione Tutti intorno a Linda (2008)

Strutturato come una commedia degli equivoci con incursioni nella slapstick e musichette ossessive a far colore, il film ha un sapore tutto femminile, sposando il punto di vista di una donna con la testa sempre tra le nuvole e gettando uno sguardo piuttosto naif su un mondo di maschietti sterili nelle emozioni, prima ancora che negli spermatozoi.

Colorate peripezie per diventare madre

"Qualcuno ha detto che gli uomini pensano in bianco e nero, mentre le donne pensano a colori." A ribadirlo sono Barbara e Monica Sgambellone che nel loro debutto alla regia, dopo dieci anni ad occuparsi di scenografia, fanno esplodere colori che più sgargianti non si può, tutt'intorno alla protagonista, un'attrice vicina ai trent'anni alla disperata ricerca di un uomo che la ingravidi. Perché Linda è affetta da endometriosi, una malattia che comporta gravi danni all'utero, così complessa che le due registe non si prendono neppure il disturbo di spiegarla, limitandosi ad usarla come pretesto per aprire la storia. Terrorizzata dall'idea di operarsi a causa di un trauma infantile, la ragazza si vede costretta a restare incinta nel giro di un anno per risolvere la situazione, ma trovare un partner che le gonfi la pancia si rivela impresa estremamente complicata.

Strutturata come una commedia degli equivoci con incursioni nella slapstick e musichette ossessive a far colore, Tutti intorno a Linda ha un sapore tutto femminile, sposando il punto di vista di una donna con la testa sempre tra le nuvole e gettando uno sguardo piuttosto naif su un mondo di maschietti sterili nelle emozioni, prima ancora che negli spermatozoi. Con una voce fuori campo che interviene ossessivamente a commentare ogni evento come in un documentario sulle difficoltà della donna di sentirsi appagata, il film mette insieme in maniera piuttosto inesperta una serie di sketch che solo raramente risultano simpatici. La sua protagonista, l'italo-argentina Maria Victoria Di Pace, carica in modo eccessivo il proprio personaggio, e deve scontare evidenti difficoltà di pronuncia che rendono la sua recitazione macchinosa e priva di naturalezza.
Il discorso delle due registe sulle paure della donna e sull'incapacità dell'uomo di appagare i suoi bisogni è formulato con eccessiva approssimazione, relegando la commedia alla superficialità. Anche perché lo stratagemma ideato per risolvere la questione (l'arrivo improvviso nella vita della protagonista di una nipotina che le fa riconsiderare la sua condizione) è sviluppato in maniera inadeguata e con una fretta che nasconde probabilmente una mancanza reale di ispirazione. Il ritmo tende ad essere sostenuto da musiche vispe, mitragliate di battute e un continuo movimento della donna, tra le vie di una sempre incantevole Torino, le lenzuola dei suoi amanti, studi medici, set pubblicitari e quant'altro, e così si scivola senza troppi affanni al finale che non si risparmia una morale della favola sancita dalla frase ad effetto. Davvero troppo poco per capire l'autentico valore delle due registe.