FEFF19: due storie transgender dall'Oriente tra pregiudizio e amore

Giappone e Filippine hanno raccontato la realtà transgender al Far East Film Festival 2017 secondo due punti di vista diversi eppure simili.

Mentre nel mondo occidentale il nuovo Presidente degli Stati Uniti Donald Trump revoca la norma di Obama che permette agli studenti transgender di utilizzare i bagni in base alla propria identità di genere, anche in Oriente si affronta questo argomento legato alla sessualità, sul grande schermo, cercando di sensibilizzare il popolo in nome dell'uguaglianza. "Forse non sembra, ma il Giappone è ancora un paese molto conservatore" ha dichiarato Naoko Ogigami, la regista del film Close-Knit, presentato in anteprima al Far East Film Festival di Udine 2017. Infatti l'evento friulano dedicato al cinema orientale, giunto alla sua 19° edizione, ha voluto dare voce alla comunità LGBT con questo film giapponese e una produzione filippina intitolata Die Beautiful. Due storie di amore, dolore, pregiudizi e disagio sociale che ruotano intorno al concetto di famiglia nel senso più profondo e moderno, adottando tuttavia uno stile diverso di racconto. Entrambe le protagoniste vivono in un corpo che non sentono proprio, e rincorrono l'identità femminile con tutte le loro forze, anche se il desiderio più grande di diventare mogli e madri sembra così irraggiungibile da minacciare la loro felicità e l'armonia interiore.

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Ogigami racconta una famiglia transgender con delicatezza e romanticismo, mentre il filippino Jun Robles Lana sceglie un'ambientazione più colorata e impetuosa per Die Beautiful, legata al mondo delle drag queen con un pesante make up, vestiti sfarzosi, parrucche colorate e chili di glitter. Due visioni diverse della stessa realtà sociale contemporanea, che in fondo inseguono la stessa felicità e lo stesso sogno di "normalità".

Close-Knit, una famiglia transgender

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Dopo il suo esordio Kamome Diner nel 2006 su alcune donne anticonformiste giapponesi alla ricerca di un nuovo inizio, Naoko Ogigami decide di raccontare l'idea di tolleranza verso le minoranze sessuali del suo Paese, con una commedia ironica e commovente. Tomo è una bambina di 11 anni che vive con una madre single irresponsabile che non si cura di lei e non è mai a casa. Quando, per l'ennesima volta, la donna scappa con un uomo senza preavviso, Tomo chiede aiuto allo zio (Kiritani Kenta) che la accoglie a casa sua senza pensarci due volte. Quest'ultimo però vive con Rinko (Ikut Toma), un uomo diventato donna che lo ama profondamente, e la piccola Tomo deve imparare ad accettare questa nuova figura materna nella sua vita per sperimentare un'armonia familiare che non ha mai conosciuto. Affezionarsi a Rinko non è tuttavia un'impresa difficile per la piccola protagonista, viziata da bentō fantasiosi preparati con amore, un'attenzione ai suoi piccoli e grandi problemi personali, e un'alleanza femminile che le offre una protezione dal mondo esterno che è stato ingeneroso con lei.

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L'amore non conosce la parola diverso

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Dopo la prima idea di diffidenza e scetticismo, si forma infatti un grazioso nucleo familiare alternativo che cerca di lasciare fuori dalla porta il pregiudizio, l'odio e la diffidenza della società moderna, anche se non sempre con successo. Il film presenta la costruzione graduale di un rapporto intimo madre-figlia, dimostrando che l'identità sessuale non è da vivere come un problema di diversità e discriminazione, persino agli occhi dei più piccoli, stabilendo un equilibrio tra i vari personaggi legati da un sentire conflittuale, ma anche positivo e sincero. "Quando ci si innamora di una persona come Rinko, tutto il resto non conta" dice lo zio a Tomo per spiegarle in modo semplice il suo sentimento per la fidanzata transgender. Rinko è una persona premurosa e dolce, che ama tenere ordine in casa e prendersi cura dei suoi cari come fa al centro anziani dove lavora come infermiera. Molti le vogliono bene e la accettano senza esprimere giudizi, ma c'è anche chi la considera un "mostro" da tenere lontano, come la mamma di un compagno di scuola di Tomo, che fa di tutto per fare terra bruciata intorno a lei. L'attore Ikut Toma è perfetto nei panni di Rinko, con una femminilità semplice e delicata nei gesti e nello sguardo, lontana dalla caricatura del transgender eccessivo ed eccentrico. E se qualcuno lo ha visto nei panni di un gangster/poliziotto sotto copertura in The Mole Song - Undercover Agent Reiji di Takashi Miike può confermare la sua versatilità e il suo talento.

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Quindi possiamo dire che il sentimento è il motore della sceneggiatura di Close-Knit, una storia limpida e tenera che vive di emozioni, esplorando una crisi intima dei vari personaggi multi-generazionali. Ogigami abbandona la comicità sopra le righe dei suoi lavori precedenti, ma mantiene una certa ironia e leggerezza nel parlare di un argomento importante e complesso, sullo sfondo di una natura suggestiva con i ciliegi in fiore e il mare impetuoso dove Tomo, Rinko e Makio si imparano a conoscere e a volersi bene. Un ritratto obiettivo e delicato di una realtà difficile dei giorni nostri, che fa soffrire molti e rende aggressivi altri, ma la soluzione potrebbe essere l'uncinetto, come consiglia Rinko che si affida a ferri e gomitoli per reprimere la rabbia e combattere la tristezza, causata spesso dall'ignoranza ed insensibilità che la circonda.

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Die Beautiful, la breve vita di un'anima considerata diversa

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Paolo Ballesteros è Patrick, un ragazzo filippino che diventa Trisha Echevarria, una donna transgender appassionata di concorsi di bellezza. Il padre non approva la sua natura e la allontana da casa, ma Trisha comincia a partecipare ad una serie di eventi pubblici e televisivi con il sogno di essere incoronata un giorno Miss Filippine. Quando finalmente il suo momento arriva, dopo aver vinto il titolo di reginetta in un concorso di bellezza locale, Trisha si sente male e muore in pochi istanti, sotto gli occhi degli amici che poi trafugano il corpo per rispettare le sue ultime volontà. Qualche giorno prima di morire, infatti, Trisha esprime il desiderio di essere bellissima anche dopo la morte, trasformandosi in varie celebrità durante la veglia funebre, grazie ad un elaborato lavoro di make up dell'amica Barbs.

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Un make up per rubare l' identità

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Assumere l'identità di Julia Roberts, Lady Gaga, Britney Spears come ha fatto quando era in vita, è il suo modo di giocare con la sua femminilità diversa, ma anche di nascondere la vera Trisha agli occhi del mondo. Sotto quel trucco pesante e colorato, e quei vestiti provocanti e luminosi vi è una persona fragile e sensibile con il sogno di essere una donna completa e non un fenomeno da baraccone. Mentre lei è senza vita in una bara bianca, mostrando un look diverso ogni ora, gli amici e le persone che hanno fatto parte della sua vita in modo diretto o indiretto, si recano a trovarla ricordando il passato. E il film diventa un gioco di flashback che il regista riesce a ordinare con cura per un risultato finale convincente, che porta sullo schermo una commedia ironica e a tratti fortemente drammatica. Dallo stupro di gruppo che l'ha segnata durante gli anni del liceo, al senso di inadeguatezza in famiglia, e la frustrazione dovuta a relazioni sentimentali con uomini inaffidabili, la breve vita di Trisha risulta piena e triste, anche se il confronto con Barbs e gli altri transgender che le vogliono bene offre una dose di humour che alleggerisce in parte i toni del film.

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Tuttavia il regista Jun Robles Lana sceglie un registro decisamente grottesco con un funerale improvvisato in un luogo insolito, dove i presenti si scattano selfie con un cadavere eccessivamente truccato, simbolo di violenza e dolore. Le inquadrature rispettano uno stile kitsch ed estremo che ricorda Priscilla, la regina del deserto, e al loro interno si muovono una serie di personaggi volutamente caricaturali che ben rispecchiano quel mondo esteticamente accecante che trasforma la sessualità non convenzionale in una condanna all'infelicità.
Il cinema ha spesso raccontato questa realtà. Basta ricordare Transamerica con la bravissima Felicity Huffman, Boys Don't Cry con Hilary Swank o il celebre Tutto su mia madre di Pedro Almodóvar come film sul coraggio di essere se stessi in un mondo che non lo rende sempre facile. Il Far East Film Festival ci ha permesso, tuttavia, di esplorare uno sguardo orientale sull'argomento, che si concentra su una intimità rituale, romantica e randagia.

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