Recensione Halloween: The Beginning (2007)

Zombie re-inventa il classico di Carpenter da un lato attraverso un'impronta stilistica matura e consapevole, dall'altro fornendo a Micheal Myers un volto e un background socio-culturale.

Chi è Michael Myers?

Perseguitati come siamo da anni da una lista interminabile di remake horror senza alcuna ragione di esistere, Halloween di Rob Zombie sembrava indifendibile prima ancora che fosse girato. La pratica del remake - che apparentemente sembra bolsa e inoffensiva ma che in realtà ha un'etica, un'estetica e perfino una valenza politica - pareva aver esaurito la sua spinta commerciale, pronta a esalare gli ultimi agonizzanti respiri. Perfino l'opera di John Carpenter era stata già abbondantemente rivista, travisata, cannibalizzata e de-contestualizzata, con il benestare del suo creatore, da rendere irritante l'operazione. Poi però l'Halloween di Zombie lo vedi e capisci che nel cinema, come nella vita, le chiacchiere stanno a zero e a parlare sono sempre i film, più che quello che rappresentano. E che al di là (e forse in virtù) delle preliminari titubanze di Zombie stesso e dei tanti discorsi, a lasciare sorpresi e ammirati è l'intelligenza e la radicalità del suo sguardo. Non fa niente poi se la distribuzione italiana annacqua la portata del discorso facendo passare il film per un prequel, sulla scia dell'operazione svolta sulla saga di Non aprite quella porta. Un po' più gravi sono i tagli che qua e la gratuitamente ci privano di qualche dettaglio pubico o efferato. Il messaggio però fortunatamente passa lo stesso: ri-fare significa re-interpretare. Con rispetto dell'originale certo, ma con la personalità di chi ha un'idea delle cose e del cinema. Giusta o sbagliata che sia, non è su questo che bisogna fare una battaglia. Non più nel 2008.

Zombie re-inventa allora il classico di Carpenter nell'unico modo secondo lui possibile. Da un lato attraverso un'impronta stilistica matura e consapevole, grazie alla quale si sta dimostrando il regista horror più rilevante del panorama statunitense, dall'altro fornendo a Micheal Myers un volto e un background socio-culturale. Ma senza nessun particolare intento sociologico o giustificatorio come è sembrato ai più. Piuttosto a guidarlo è un vero e proprio percorso autoriale che trova qui supporto nell'esigenza di rifiutare il confronto stilistico e narrativo con il modello originale. Altrimenti si è costretti a opere di mediocre shooteraggio o allo Psycho di Van Sant e amen. Ovvio poi che raccontare l'adolescenza di Michael - novello Dexter che sfoga inizialmente con gli animali il suo istinto omicida - attraverso il degrado umano, lo squallore e le prepotenze che lo circondano fornisca una chiave psicologica di interpretazione del suo comportamento omicida, ma ciò che interessa a Zombie è la natura profondamente selvaggia delle relazioni umane, non le ragioni che alimentano tali azioni. Il lirismo mai velato con cui racconta il percorso dei suoi reietti non lascia infatti spazio a particolari dubbi riguardo all'epica nichilista di Rob Zombie. A definitiva riprova, l'intensa e violentissima scena del primo massacro di Myers, una vero e proprio rito di iniziazione liberatorio che risponde al geniale virtuosismo della soggettiva di Carpenter con un furore sanguigno che lascia decisamente il segno.

Ma se di Halloween si tratta, al "rifiuto" rispettoso deve affiancarsi l'omaggio o se si vuole almeno l'attinenza filologica. Zombie abbandona così il suo giovane convincentissimo Michael Myers (il piccolo Daeg Faerch è davvero sorprendente) e ritorna sul luogo del delitto a Haddonfield per una versione sintetica, cruenta e fedele dell'originale, con Malcom McDowell (purtroppo fuori parte) nei panni di Loomis. Perché sempre di un remake stiamo parlando e anche il più volenteroso regista che accetti l'incombenza non può permettersi di raccontare un altro film. Senza che questo neghi la possibilità di disseminare il campo di piccole e significative variazioni; su tutte il finale, frettoloso quanto si vuole (causa un cambio di rotta fuori tempo massimo)ma profondamente significativo. Come se bastasse la mancanza di un inserto o di un controcampo a trasformare un'intuizione tutt'altro che disprezzabile in una boiata indegna di memoria. E' innegabile che in questa seconda parte il regista perda decisamente verve, costretto a confrontarsi con l'accumulo vendicativo di un personaggio da cui ha estratto tutto ciò che gli interessa, ma se questo è l'incompiuto, squilibrato, o addirittura sciatto e noioso Halloween di cui si legge in giro è probabile che qualcuno si meriti davvero i sette sequel che l'hanno preceduto.