Caprica: il prequel cyberpunk di Battlestar Galactica

Se a livello iconografico Caprica è l'ultimate hype della sideralità e del rigore estetico più minimalista, non si può fare a meno di notare che la sua forma composta nasconde la sostanza del cyberpunk: realtà virtuale, cibernetica, replicazione, alienazione, droghe psichedeliche, hackeraggio, tecnocrazia, connessione tra zaibatsu e mafia, costituiscono gli oggetti dell'indagine degli autori.

Cyberpunk. Senza farla tanto lunga, si potrebbe definire Caprica - lo spin-off/prequel della geniale serie cult Battlestar Galactica - come uno show dal cuore cyberpunk (ma non dall'aspetto: ambientazioni fredde e dai colori desaturati al posto di scorci piovosi illuminati dal riverbero dei neon). Guardando i nove episodi della prima metà della stagione è arduo non percepire la sensazione di trovarsi di fronte alla serializzazione nella declinazione della fantascienza più pura, quella di filosofia e scienza che lavorano sinergicamente nell'esercizio della speculazione metafisica.
Tradotto: Caprica non è veicolo di grandi emozioni e preferisce stimolare l'interesse intellettuale degli spettatori più cogitabondi. Se a livello iconografico lo show di SyFy ideato da Remi Aubuchon e Ronald D. Moore è l'ultimate hype della sideralità e del rigore estetico più minimalista, dicevamo, non si può fare a meno di notare che la sua forma composta nasconde la sostanza del cyberpunk: realtà virtuale, cibernetica, replicazione, alienazione, droghe psichedeliche, hackeraggio, tecnocrazia, connessione tra zaibatsu e mafia, costituiscono gli oggetti dell'indagine degli autori.

Cinquant'anni prima dei fatti di Battlestar Galactica, della distruzione delle colonie da parte delle macchine, della prima guerra contro i centurioni, dell'avvento dei modelli umanoidi e del risveglio degli Ultimi Cinque, Caprica svela le condizioni che hanno condotto alla creazione dei cyloni, alternativa cibernetica dell'esistenza all'impalpabilità della realtà virtuale. Una delle tesi della serie è la seguente: un'esistenza incorporea e puramente virtuale in una matrice è meglio rispetto a una nel mondo reale in un corpo meccanico, o viceversa? Un essere umano può trasfigurarsi totalmente in una coscienza in codice binario, e una macchina può essere una persona in misura equivalente a un essere umano?
La fantascienza si è arrovellata più o meno seriamente su queste alternative e certamente Moore, reduce dagli ologrammi, dai (cy)borg e dagli androidi di Star Trek: The Next Generation non vedeva l'ora di approfondirne le implicazioni in piena libertà. L'ordinata e ipercivilizzata colonia di Caprica si divide con Tauron il primato tecnologico, spartito tra l'azienda del capricano Graystone e quella del tauriano Vergis; il primo ha inventato l'holoband, che permette l'accesso a una realtà virtuale che gli hacker hanno modificato in una dimensione cyberpunk fatta di eccessi e trasgressioni; il secondo ha messo a punto il processore in grado di codificare l'intelligenza artificiale. Le due invenzioni imboccano percorsi opposti, dall'uomo a computer e dal computer all'uomo, e si fondono in Zoe, la figlia di Graystone morta in un attentato provocato dai proto-monoteisti che venerano il Dio dei cyloni di Battlestar Galactica.
Zoe si presenta come una sedicenne viziata e vacua votata al disprezzo per mamma e papà e all'abuso di droghe, in realtà è un'adolescente che rinnega il politeismo nella speranza di trovare nello spiritualismo monoteista le risposte che cerca, ma trova prima la morte in un attentato terroristico provocato da un credente fanatico. Grazie a una genialità superata solo da quella del padre Daniel, Zoe - senza ammorbarsi l'esistenza su Deleuze e Baudrillard - ha pensato bene di trasformare il suo avatar, strumento necessario per accedere alla virtualità, in un'entità senziente indipendente, assolutamente identica all'originale, sviluppato sulla base dei dati individuali reperibili dalla rete: i profili dei social network, le prescrizioni mediche, le mappature del dna, i dettagli degli acquisti, i commenti nei forum, le playlist sono materiali così numerosi e accurati, per chi è vissuto nell'era di Internet, da bastare a ricostruire una personalità.
E così, quando Zoe muore, diventa creatrice di vita (che il suo nome significhi - per l'appunto - "vita", naturalmente non è una coincidenza ), la sua copia virtuale esiste indipendentemente dall'originale. L'umanità si nutre di esperienze che necessitano di fisicità per essere vissute, e in mancanza del corpo originale della ragazza, i dati della sua copia vengono scaricati nel corpo meccanico del prototipo cylone costruito da Daniel. Zoe supera (in modo fin troppo stupefacente) la crisi di rigetto che ci si aspetta da chi si risveglia trasformato in una macchina (quanta gente aborre l'idea di arti bionici o innesti cibernetici?), la sua sopravvivenza nel corpo del centurione è più una sfida pratica che psicologica.
Un destino opposto attende Tamara, altra vittima adolescente dell'attentato e figlia dell'avvocato tauroniano Joseph Adama, che non Daniel Graystone condivide il lutto e un rapporto utilitaristico e conflittuale. L'avatar di Tamara, anch'esso sviluppato grazie al programma di Zoe, è altrettanto privo di un corpo e per questo bloccato nella virtualità dell'holoband che non le permette né di andarsene né di morire, ponendola in una condizione - quella dell'immortalità in un mondo virtuale - che prende le distanze dall'umanità e l'avvicina alla divinità.
A prescindere dai modi in cui i tasselli della storia si combineranno per completare il puzzle di eventi che formano le premesse di Battlestar Galactica, stupisce quanto le fredde speculazioni mooriane riescano ad attrarre e conquistare rendendo sopportabile l'annichilimento emotivo. Il dolore dei sopravvissuti all'attentato, la prostrazione di Graystone e Adama Sr per la perdita delle figlie, il disprezzo di Zoe nei confronti di un padre che ha sempre amato se stesso più di chiunque altro, l'orrore ispirato dai fanatici religiosi che trovano onorevole far saltare in aria gente a caso, non riescono a scalfire profondamente lo spettatore.
Manco a dirlo, se in Battlestar Galactica accadeva raramente che qualche pausa comica stemperasse la drammaticità della narrazione, in Caprica - per quanto potenzialmente inopportuno - la componente comica è completamente assente, e gli unici sorrisi strappati al pubblico fino a oggi sono riservati ai fan più geek, in grado di riconoscere alcune note del tema originale di Galactica fare capolino brevemente in un episodio, e di compiacersi della coincidenza che vuole sister Clarice chiamarsi "Willow" di cognome (così, James Marsters - il vampiro ossigenato Spike di Buffy - l'ammazzavampiri - per un attimo sembra rivolgersi alla rossa strega della serie whedoniana al posto della religiosa).
Un elemento innovativo di Caprica è senz'altro l'approccio alla sessualità, chiaramente in atteggiamento di apertura rispetto a Battlestar Galactica: se nel reboot la produzione non aveva fatto molti sforzi per fare chiarezza sulla posizione delle colonie in merito alle minoranze sessuali - riducendo a un paio di accenni nei webisode la relazione tra Gaeta e Hoshi - nello spin-off è espresso più chiaramente il fatto che Caprica riconosce pari diritti alle coppie dello stesso sesso (il fratello mafioso di Joseph, Sam Adama, se lo volesse, potrebbe adottare legalmente bambini con il compagno) e ammette la poligamia (Clarice vive in una comune con un nutrito numero di mariti e mogli). I capricani sono anche tolleranti nei confronti dei fumatori (molti, nella serie, fumano come ciminiere), considerati peggio dei seviziatori di Guantanamo dagli spettatori americani.
Lo spin-off è meno corale della serie madre, pur contando un nutrito numero di personaggi, nessuno dei quali dotato nell'ispirare affezione o proiezione tra il pubblico; Daniel Graystone, padre di Zoe e geniale inventore, è colto, ambizioso, raffinato e bellissimo (il suo volto è quello del rosso Eric Stoltz di Memphis Belle, che l'anno scorso ha diretto e interpretato alcuni episodi di Grey's Anatomy), ma totalmente incapace di convincere lo spettatore a perdonarlo per le sue scelte e a soffrire per le sue perdite; Joseph Adama, anima e cuori divisi tra i costumi di Caprica e le tradizioni di Tauron, è un padre affezionato e al contempo distante, disposto a rischiare la vita per la figlia - ma solo dopo averla persa - ma incapace di prendersi cura del figlio sopravvissuto, avvocato al servizio della legge ma dedito a corruzione e minacce che solleva le perplessità anche del pubblico più indulgente. Sicuramente più coerente e intrigante Sam, il tatuatissimo fratello sicario, fedele alle sue origini e propugnatore di quel legame tra zaibatsu e mafia che fa molto cyberpunk.
Niente a che vedere con i crudeli ma tormentati Roslin e Adama di Battlestar Galactica, o con l'egoista e vigliacco Baltar (che, nella sua umanità, conservava il senso dell'umorismo anche quando buttava veramente male).
Punto debole di Caprica, quindi, è proprio l'incapacità di creare empatia tra spettatore e personaggio. Sospettiamo che il rapporto possa migliorare nel corso della seconda metà della stagione, negli episodi che approfondiranno gli aspetti relativi alla fede e al fanatismo e svilupperanno il tema caro a Aubuchon, quello dello sfruttamento. Caprica nasce, infatti, dall'unione di due menti, ognuna votata a un progetto: quelli di Moore di fare un prequel che narrasse le origini del conflitto tra cylon e colonie, e quello di Aubuchon di creare una serie che riprendesse il tema asimoviano della schiavitù dei robot (termine che deriva dall'accezione russa di operaio, adottata dall'autore di Rossum's Universal Robots, ?apek, dove ogni genere di lavoro è espletato da androidi assoggettati all'umanità), creati per essere utilizzati come instancabile e obbediente manodopera gratuita. Ricorda qualcosa?