Recensione Cosa voglio di più (2009)

Dopo 'Giorni e nuvole' Silvio Soldini torna a parlare di precarietà sociale ed emozionale con il nuovo 'Cosa voglio di più' - presentato come evento speciale al festival di Berlino - affidandosi a un cast di attori in grado di trasmettere sensazioni di estrema autenticità e naturalezza.

C'è grossa crisi

"C'è crisi": questo è il ritornello che si sente ripetere in continuazione in Cosa voglio di più. Una frase diventata ormai quasi come uno slogan, e che si adatta a descrivere sia le condizioni di precarietà economica, sia quella di tipo sentimentale, strettamente correlate tra loro, cui va incontro la generazione attuale. Il nuovo film di Silvio Soldini prosegue idealmente l'indagine tracciata con il precedente Giorni e Nuvole, definendo questa volta una nuova parabola esistenziale: quella di Domenico (Pierfrancesco Favino) e Anna (Alba Rohrwacher), entrambi sposati ma non del tutto soddisfatti dei rispettivi compagni, entrambi incapaci di trovare il coraggio per realizzare veramente i loro desideri. Cosa voglio di più racconta una storia semplice: il classico colpo di fulmine che scoppia improvviso e irrazionale e che scombussola le vite finora ordinarie e monotone di Domenico e Anna. Il primo alle prese con una moglie un po' frustrata (Teresa Saponangelo) e due bambini piccoli; la seconda restìa ad assumersi la responsabilità di concepire un figlio insieme al suo fin troppo placido compagno (Giuseppe Battiston).

Dramma sociale ed esistenziale si intrecciano in questo ultimo film di Soldini. L'incertezza economica sembra essere la causa determinante dell'incapacità di affrontare il futuro da parte dei protagonisti. Tuttavia è proprio nel supposto intento di indagine realistica che Cosa voglio di più non riesce a convincere appieno. Non basta, infatti, un riferimento costante in sede di sceneggiatura alle difficoltà economiche quotidiane affrontate dai quarantenni di oggi per poter sviscerare tutta la sua profondità di un fenomeno generazionale talmente complesso, che altrimenti corre il rischio di scadere nello stereotipo.

Più risuscita è decisamente la dimensione interiore e sentimentale del dramma vissuto dai protagonisti. Soldini si affida a una regia discreta, eppure in grado di trasmettere -attraverso movimenti di macchina documentaristici e il contatto ravvicinato della camera a mano - attimi di autentica emotività, tracciando il solco di una relazione forte e passionale eppure allo stesso tempo trattenuta e sospesa.
Se si riescono a raggiungere tali livelli di intensità è certo merito in primo luogo degli interpreti, in particolare dei protagonisti Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher, straordinariamente naturali e realistici nel loro ruolo di amanti. Ma anche i rispettivi compagni traditi, Teresa Saponangelo e Giuseppe Battiston, come pure i restanti comprimari del film, non sono da meno.

Cosa voglio di più esemplifica, insomma, alcune tendenze tipiche del cinema italiano: l'esigenza d'ascendenza neorealista di "pedinare" i personaggi all'interno del loro tessuto sociale si intreccia (in maniera non sempre perfetta) con l'interesse a descrivere una realtà più intimista e individuale.