Braccialetti rossi: il cast si racconta

Sei giovanissimi attori si cimentano con un tema forte, la malattia: ecco come il cast di Braccialetti rossi ha accolto la sfida Rai per una nuova era della fiction. E come l'azienda abbia deciso di puntare su un dramma ospedaliero per lanciare un messaggio forte di speranza.

Braccialetti rossi vuole cancellare l'etichetta da "solita fiction ospedaliera". La prima serata di Rai Uno ogni domenica a partire dal 26 gennaio prova a rivoluzionare tutto un genere attraverso il racconto di sei piccoli pazienti tra dolore e speranza.
Il format, ispirato alla serie spagnola Polseres Vermelles, è stato riadattato da Sandro Petraglia, che lo ha sceneggiato assieme al regista Giacomo Campiotti. Carlo Degli Esposti di Palomar lo presenta alla stampa, dopo alcune anteprime per le scuole di Roma, assieme a Eleonora Andreatta, direttore di Rai Fiction, e Giancarlo Leone, direttore di Rai Uno. Il racconto rivive nell'omonimo romanzo di Albert Espinosa (Salani editore) e si arricchisce su piccolo schermo con una colonna sonora (su etichetta Carosello) composta da nove inediti di Niccolò Agliardi, interpretati, tra gli altri, da Francesco Facchinetti, e da cinque canzoni di Vasco Rossi, Laura Pausini, Tiziano Ferro, Emis Killa ed Emma Marrone.
Sei giovani protagonisti danno vita alla "band" dei braccialetti rossi che i piccoli pazienti formano nelle corsie dell'ospedale per affrontare insieme la malattia: Aurora Ruffino (Cris, l'unica ragazza del gruppo), Carmine Buschini (Leo, il leader), Brando Pacitto (Vale, il vice-leader), Mirko Trovato (Davide, il bello), Pio Piscicelli (Toni, il furbo) e Lorenzo Guidi (Rocco, l'imprescindibile, voce narrante durante il periodo di coma).
Gli adulti della storia sono rappresentati da un poker al femminile composto da Michela Cescon (Piera, la mamma di Rocco), Simonetta Solder (Nora, la mamma di Vale), Laura Chiatti (Lilia, la compagna del padre di Davide) e Carlotta Natoli (la dottoressa Lisandri).

Qual è il valore aggiunto di questa fiction?
 Eleonora Andreatta: Lontanissima dal genere hospital, è un grande romanzo di formazione, un film universale. L'ospedale è un castello incantato in cui si affronta la paura, anche quella della morte, attraverso lo sguardo dei ragazzi, dotato di passione e vitalità. Giacomo Campiotti dà poesia e verità al racconto dell'infanzia. Il format è stato anche comprato da Steven Spielberg negli Stati Uniti.
Giancarlo Leone: Spesso la fiction guarda indietro, questa guarda avanti: è il momento che la rete cambi il modo in cui si raccontano i generi.
Carlo Degli Esposti: Alla fine di un lavoro di solito conto gli errori, questa volta non ho avuto un solo rimpianto: questa è la televisione del futuro.
Sandro Petraglia: Questo racconto si confronta con i grandi temi della vita e della morte.
Giacomo Campiotti: I ragazzi protagonisti cambiano il mondo attorno a loro, ma non è una docu-fiction, ma una favola moderna. Davanti al dolore, infatti, molti si chiudono, si intristiscono, s'incattiviscono, altri invece danno il meglio di sé davanti ai problemi e gli ospedali sono pieni di gente eroica.
Chi sono questi sei coraggiosi ragazzini? 
Carmine Buschini: Leo sfodera grande forza e coraggio, usa una corazza da duro che lo fa apparire quasi insensibile ma ha un cuore grande.
Pio Piscicelli: Toni è divertente e tira su il morale agli altri con ironia, anche lui è un ragazzo mosso da grandi sentimenti.
Brando Pacitto: Vale è il più sensibile del gruppo e mi aiutato a capire questa realtà un po' nascosta che esiste e va affrontata, quella degli ospedali, che finora mi era estranea.
Mirko Trovato: Davide è sfrontato e aggressivo, insofferente al ricovero: in realtà il suo è un modo per nascondere paure e debolezze.
Lorenzo Guidi: Rocco è il bambino in coma che racconta quello che succede in corsia, nonostante tutto è simpatico e va avanti.
Aurora Ruffino: Cris soffre di disturbi dell'alimentazione e causa vari problemi. È come se avesse vissuto in un limbo, strano e intenso.
Come hanno affrontato il set le adulte del gruppo?
 Laura Chiatti: Credo molto in questo progetto, anche perché ho vissuto un'esperienza tremenda, la malattia di una mia amica quando avevamo 16 anni. Io ora ne ho 31, lei ne ha ancora 16. Per questo, da persona che ha vissuto in quella situazione in ospedale, credo che anche le cose brutte vadano raccontate, anche se in maniera leggera e delicata.
Michela Cescon: Questa fiction è per me un regalo enorme, mi ha permesso di riportare a casa il senso della professione attraverso la responsabilità di dare testimonianza ed esempio a chi questo lavoro ha appena iniziato a farlo.
Carlotta Natoli: Il progetto è coraggioso da parte di chi ce lo ha proposto e di chi l'ha accettato e questi ragazzi si sono rivelati dei professionisti assoluti. È un viaggio non solo per i ragazzi, ma anche per gli adulti.
Simonetta Solder: Per me è stato un incontro speciale, come se oltre agli attori fossero stati scelti gli esseri umani.

E se vi rimproverassero di fare TV del dolore e ci fosse una caduta libera di ascolti?
 Carlo Degli Esposti: Non abbiamo paura di cadere, ma finora il pubblico giovane ha avuto la maggiore empatia con il prodotto. Ad una proiezione nelle scuole di Roma un bimbo di 6-7 anni si è avvicinato e ci ha detto: "Questo è il film più bello che abbia mai visto in tutta la mia vita".
Giancarlo Leone: Gli ascolti sono la nostra ultima preoccupazione, non vogliamo aver paura di raccontare storie diverse dalle soap o dalle fiction esoteriche.
Sandro Petraglia: Noi non abbiamo niente a che fare con la tv del dolore. Come Ken Loach che raccontava i poveri ma con il sorriso, così abbiamo fatto noi puntando sull'amicizia.