Black Mirror 3x02, Giochi pericolosi (Playtest): la realtà aumentata di un’umanità diminuita

Immerso in un claustrofobico gioco al massacro, questo episodio ci prende per mano per condurci sadicamente nella percezione alterata e instabile di una demo videoludica.

Black Mirror: un nomento della terza stagione, episodio Playtest
Black Mirror: un nomento della terza stagione, episodio Playtest

Uno sguardo allo schermo e un' occhiata fuori dal finestrino. Cooper è un ragazzo equilibrato nella visione del mondo: un po' a capo chino su smartphone e console portatili, un po' a testa alta, rivolto verso monumenti e paesaggi. A metà strada tra reale e virtuale, questo ragazzone americano è un giramondo, ma la sua non sembra semplice voglia di viaggiare per conoscere quanto desiderio di fuga. Lo capiamo dalle insistenti telefonate di sua madre alle quali Cooper risponde a suon di freddi messaggi preimpostati sul cellulare. Poi, dopo un intenso tour in giro per il globo, il giovane si ferma in Inghilterra dove scopre una bella ragazza e una brutta sorpresa: i soldi sul suo conto in banca sono spariti. Quindi, per tornare in America, bisogna subito trovare dei soldi, e per un nerd come lui la prospettiva di farlo nei panni di beta tester è più che allettante.

L'offerta arriva dalla rinomata Saito Games, guidata da un guru vagamente ispirato al game designer Hideo Kojima. La celebre software house è interessata a sperimentare nuove derive della realtà aumentata. Le regole del gioco prevedono un fungo installato nella nuca di Cooper (alla Neo di Matrix); il dispositivo è in grado di alterare le percezioni dell'ospite al fine di studiarne fobie e traumi. Avviata come una stimolante demo, l'esperienza pseudo videoludica di Cooper (un convincente Wyatt Russell, il figlio di Kurt Russell e Goldie Hawn) si trasforma in una scricchiolante scala a chiocciola, diretta verso posti spiacevoli.

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Edgar Allan Poe 2.0

Seguono spoiler sull'episodio

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Black Mirror conosce a menadito il balordo mondo tecnologico che abitiamo e ce ne mostra un'immagine disturbante ma mai alterata, esasperata ma mai davvero snaturata. Quelle deformazioni sono vere. Quelle crepe nel vetro sono realissime. Basta solo guardare le cose con più attenzione, con più amara sincerità. In Giochi Pericolosi il terreno d'indagine sembrano i videogiochi, ma l'attenzione va un po' più fuori da pixel e schermi, per fermarsi nel bel mezzo di una via. Da una parte c'è la realtà, dall'altra il virtuale. Questo episodio parla di realtà aumentata, di questa affascinante chimera rincorsa negli ultimi anni a suon di luoghi potenziati, applicazioni rivelatrici, Pokemon da catturare. Il mondo non basta e va rimpolpato con qualcos'altro.

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Quel demonio di Charlie Brooker lo sa e ci mostra un'aberrante degenerazione attraverso ambientazioni e ispirazioni visive videoludiche, per poi addentrarsi in un territorio ancora più complesso proprio perché ibrido, non del tutto "non reale", scisso tra la stimolante curiosità di evadere e la necessità di rimanere con i piedi ben piantati a terra. Ma se cercate rassicurazioni in un episodio di Black Mirror, siete degli ingenui e se state leggendo, non lo siete affatto. Per cui entrerete volentieri nell'oscura e isolata magione ottocentesca che fa da sfondo alla solitaria "partita" di Cooper.

Lui che di cognome da Redfield (come due protagonisti della saga videoludica Resident Evil) si accinge a sopravvivere a se stesso all'interno di un survival horror delirante. Però, i giocatori esperti sapranno che in questo genere di giochi, nonostante la scarsità di kit medici e pallottole, c'è sempre un modo per curarsi e per difendersi. Cooper, invece, non ha né bende né pistole, il nemico è lassù, è lì dentro, nel suo cervello e nella sua percezione. Sembra di essere tornati ad Edgar Allan Poe e non lo diciamo solo per la vecchia villa vittoriana e i suoi vaghi richiami gotici, ma per il piacere sadico con cui ci addentriamo nel logorio psicologico di un personaggio alle prese con il terrore più spietato.

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Game over o over game?

Black Mirror: una scena dell'episodio Playtest della terza stagione
Black Mirror: una scena dell'episodio Playtest della terza stagione

Anche quando non è al suo meglio (come in questo caso), un episodio di Black Mirror non lascia mai indifferenti e semina interessanti spunti nella coscienza sporca di chi lo guarda. Giochi pericolosi ha troppa fretta, non dosa al meglio la devastazione del suo protagonista e va di corsa, cadendo nella tentazione di inabissarlo di colpo in un profondo baratro senza concedere al pubblico un po' di empatia nei suoi confronti. Eppure, nonostante questa gestione repentina degli eventi e un ricorso a tanti stratagemmi abusati in troppi horror, il secondo episodio della terza stagione inquieta, disturba, spaventa. Ci riesce con una messa in scena sempre accurata, condita con allucinazioni audiovisive raccapriccianti e messaggi asprissimi diretti verso i nostri poveri stomaci. Il dito puntato è rivolto verso la nostra costante esigenza di altrove, anche quando non siamo individui alienati chiusi nelle nostre stanze, ma ragazzi che hanno girato il mondo in ogni dove. Come bulimici affamati di nuove stimolanti realtà, ci nutriamo di spazi altri, vogliamo sempre qualcosa di diverso rispetto a quello che abbiamo provato.

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E via verso nuovi livelli, nuovi quadri, nuove stanze, nuovi mostri. Qui c'è tutto il nostro dannato desiderio del nuovo e il nostro bisogno del vecchio, lo slancio verso l'ignoto e l'appiglio sicuro delle certezze. Black Mirror sguazza dentro questa contraddizione e ribalta ancora una volta la percezione delle cose. Perché se di solito siamo noi ad adattarci ai giochi, questa volta sono i giochi che si adattano a noi. Cosa succede, quindi, se il joypad non è più nelle nostre mani ma impiantato nel subconscio? Come si comanda l'indomabile mistero che abbiamo in testa? Ma questo, purtroppo, non è un gioco dove le risposte sono contemplate.

Movieplayer.it

3.5/5